L'obbligatorietà del contraddittorio tributario

in quali casi il Fisco è obbligato al contraddittorio con il contribuente in fase di procedimento amministrativo?

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza del 24 giugno 2014, n. 14290, è tornata a pronunciarsi sulla questione della non obbligatorietà della partecipazione del contribuente alla fase pre-contenziosa del procedimento amministrativo tributario.

In particolare, il Supremo Collegio (nell’evidenziare che, nello specifico contesto, non trova applicazione la disciplina generale del procedimento amministrativo di cui alla Legge n. 241/1990, in virtù dell’espressa deroga di cui all’art. 13, c. 2 del medesimo dispositivo) afferma che l’attività amministrativa di accertamento tributario non prevede, ai fini della legittimità del provvedimento finale, la conditio sine qua non del preventivo contraddittorio con il cittadino.

In altre parole, le Autorità deputate dell’attività ispettiva non sono tenute, nelle fasi del procedimento amministrativo di accertamento tributario, ad instaurare, con riguardo alle ipotesi illecite in corso di formulazione, un contestuale contradditorio con la parte sottoposta a controllo.

A detta della Corte, infatti, l’attività di verifica, prodromica all’emissione dell’avviso di accertamento o di rettifica, avendo carattere amministrativo, non è retta dal principio del contraddittorio; gli Uffici, in sede di verifica, non sono tenuti a interpellare preventivamente il contribuente, potendo sempre emettere l’avviso di accertamento laddove emergano elementi utili a supporto della pretesa impositiva.

Benché, come noto, lo Statuto del Contribuente di cui alla Legge n. 212/2000 abbia introdotto principi volti ad assicurare che i rapporti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria siano improntati al principio della collaborazione e della buona fede, prevedendo altresì specifici diritti egaranziein capo al cittadinosottoposto a verifiche fiscali, occorre sottolineare che non vige una disposizione generale che obblighi la predetta Amministrazione ad instaurare, a pena di illegittimità degli atti successivi, un contraddittorio nella fase accertativa, salvo i casi espressamente individuati dal legislatore.

Pertanto, tenuto conto del brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, l’illegittimità dell’avviso di accertamento è ipotizzabile solo nei casi in cui la mancata instaurazione del preventivo contraddittorio si sia verificata in tassative ipotesi normative, come ad esempio per:

  • la determinazione sintetica del reddito complessivo, tenuto conto che (ai sensi dell’art. 22 del D.L. n. 78/2010) l’Ufficio che procede ha l’obbligo normativo di instaurare un preventivo contraddittorio, condicio sine qua non dell’azione di accertamento la cui inosservanza comporta la nullità del provvedimento finale. Sussiste, quindi, l’obbligo giuridico di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218;

  • il disconoscimento dei vantaggi tributari conseguiti mediante atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. In tal caso, l’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, prevede che l’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili le richiamate disposizioni antielusive.

D’altra parte, vi sono procedure di accertamento che, pur regolate da un lex probatoriapro – fisco, non prevedono obbligatoriamente un preventivo confronto con il contribuente. Con riguardo, infatti, alle indagini finanziarie di cui all’art.51, comma 2, n.7 del D.P.R. n. 633/1972 e all’art.32, comma 1, n.7 del D.P.R. n. 600/1973, la giurisprudenza della Corte di Cassazione e la stessa Agenzia delle Entrate (Circolare n.32/E/2006) hanno chiaramente affermato che il contraddittorio del contribuente costituisce una semplice facoltà conferita agli Organi di controllo, non obbligatoria né sul piano della legittimità degli accertamenti finanziari, né sul piano della possibilità di ricostruire comunque la posizione fiscale del soggetto sulla base delle risultanze degli accertamenti stessi.

In conclusione, la Corte di Cassazione (con la citata ordinanza n. 14290/2014) nel richiamare le precedenti posizioni giurisprudenziali di cui alle sentenze02-12-2005, n. 262931 e 23-03-2001, n. 42732, sostiene che il contradittorio preventivo non è presupposto necessario per la validità dell’atto impositivo, rappresentando uno strumento eventuale che gli organi accertatori possono utilizzare per acquisire elementi utili a supporto dei rilievi in corso di inserimento nel provvedimento conclusivo, anche in un’ottica deflattiva del contenzioso.

In merito, si reputa comunque opportuno sottolineare che la Corte di Giustizia della Comunità Europea, con la c.d. sentenza “Sopropé3 (C-349/07, decisione del 18 dicembre 2008), nel pronunciarsi in ordine al “giusto procedimento tributario”, aveva affermato la necessità dell’instaurazione del contraddittorio obbligatorio con il contribuente ante avviso di accertamento, specialmente in ipotesi di accertamento attraverso costi “standard”, con valutazioni automatiche.

La sentenza Sopropé della Corte Ue, infatti, ha riconosciuto come il principio del contraddittorio nel procedimento tributario corrisponda ad un principio fondamentale del diritto comunitario.

Di conseguenza, la Corte di Cassazione4 si è pronunciata, nello specifico, in tema di accertamento da studi di settore, allineandosi alla citata sentenza UE e dichiarando necessario il contraddittorio preventivo per consentire al contribuente di esercitare il suo diritto di difesa già prima della formazione dell’atto di contestazione della pretesa fiscale, in modo da assicurargli il diritto ad un’adeguata conoscenza preventiva del procedimento, volta a prevenire ingiuste penalizzazioni a seguito dell’azione amministrativa potestativa. Ciò in presenza di prove e motivazioni non scaturite da una effettiva constatazione della realtà reddituale del contribuente ma, meramente costruita a tavolino. Evitando, qualora ce ne fossero le condizioni, il formalizzarsi di una pretesa e di una successiva lite che potrebbero avere un impatto non trascurabile nella sfera economica, patrimoniale e personale dello stesso soggetto, a volte non rimediabile neanche a seguito di vittoria in un successivo giudizio.

31 luglio 2014

Nicola Monfreda

1La Guardia di Finanza ha l’obbligo di cooperare, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, con gli uffici dell’imposta per l’acquisizione ed il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento del tributo e per la repressione delle violazione del medesimo D.P.R. e tale attività – la cui utilizzazione da parte dell’amministrazione finanziaria è legittima ai sensi dello stesso D.P.R., art. 51, nn. 6 bis e 7.- avendo natura amministrativa, non è retta dal principio del contraddittorio, sì che del precitato D.P.R., art. 51, comma 2, n. 2, nel prevedere la convocazione del soggetto che esercita l’impresa con l’invito al medesimo a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, attribuisce all’amministrazione una facoltà discrezionale e non un obbligo, con l’ulteriore conseguenza che il mancato esercizio di tale facoltà non trasforma in presunzione semplice la presunzione legale che riferisce i movimenti bancari all’attività svolta dal contribuente, su cui grava perciò l’onere della prova contraria in sede contenziosa, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32.

2L’attività accertativa della guardia di finanza e degli uffici finanziari, avendo natura di attività amministrativa, pur dovendo svolgersi nel rispetto di ben determinate cautele previste per evitare arbitri e violazioni dei diritti fondamentali del contribuente, non è retta dal principio del contraddittorio (cfr., in tal senso, Cass. Sez. I civ., sent. n. 7964 del 23.7.1999): consequenzialmente alla stregua del principio enunciato, in contrasto con quanto ritenuto dal giudice del merito, va escluso che le risultanze emerse dalla attività di verifica stata(*) prodromica all’emissione del discusso avviso di rettifica non possano costituire valido supporto probatorio della pretesa impositiva a tale avviso sottesa per il solo fatto della mancata immediata contestazione al contribuente in sede di verifica”.

3 Nella causa C-349/07, meglio nota come causa Sopropè, la domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata alla Corte di Giustizia Europea dal giudice remittente, si fondava sull’interpretazione del principio del rispetto dei diritti della difesa nella sede preventiva amministrativa. Si trattava cioè di stabilire se il termine di otto giorni, assegnato dal Paese membro al contribuente, dovesse essere ritenuto congruo per esercitare in via preventiva il giusto diritto amministrativo.

4 La Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza 09-04-2010, n. 8481 ha delimitato l’applicabilità della decisione Sopropé” ai casi successivi alla medesima. Infatti, ha affermato che “Pur non dubitandosi dell’applicabilità retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Lussemburgo, il principio affermato nella sentenza della causa C-349/07, “Sopropè/Fazenda Publica”, secondo cui all’importatore sospettato di aver commesso un’infrazione doganale va concesso un termine – da otto a quindici giorni – per la presentazione delle proprie osservazioni, prima dell’attivazione della procedura di recupero, derivandone, in caso contrario, una violazione del diritto di difesa, non si applica ai processi in corso, in quanto ciò comporterebbe una generale caducazione di qualunque decisione doganale sfavorevole all’importatore, con pesantissime ricadute su una fondamentale risorsa del bilancio comunitario”.