E' impugnabile l'avviso di recupero del credito d'imposta

la Corte di Cassazione ha recentemente confermato l’impugnabilità dell’avviso di recupero del credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate

Con la sentenza n. 12757 del 6 giugno 2014 (ud. 2 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato l’impugnabilità dell’avviso di recupero del credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate, previsto dall’art. 8, della L. n. 388 del 2000.

 

La contestazione dell’Amministrazione finanziaria

L’Agenzia delle Entrate denuncia il vizio di violazione dell’art. 19, c. 1, lett. h, del D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 3, censurando come erronea la statuizione in diritto della sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che “fino allo 01 gennaio 2005 nella legislazione finanziaria non era prevista assolutamente la possibilità di formazione di atto c.d. avviso di recupero cosicchè ove mai si fosse verificata la necessità di recuperare un credito d’imposta non spettante da parte dell’Amministrazione, si sarebbe dovuto procedere mediante il meccanismo dell’accertamento“, non avendo la CTR considerato che l’impugnabilità dell’atto doveva comunque essere affermata ai sensi del citato art. 19, c. 1, lett. h, del D.Lgs. n. 546 del 1992, “comportando esso, di fatto, la revoca di un’agevolazione di cui la società poteva usufruire in presenza dei soli requisiti stabiliti dalla legge, e che l’atto, comunque denominato, deve essere preso in considerazione per quella che è la sua funzione tipica, non essendovi dubbio che l’espressione ‘avviso di accertamento del tributo’ di cui alla lettera a) includa tutti gli atti di accertamento, ancorchè diversamente denominati dal legislatore”.

La sentenza

Per la Corte il motivo addotto dalle Entrate è fondato e va accolto. La Corte aderisce al filone giurisprudenziale (cfr. Cass. civ. sez. 5, 20 dicembre 2013, n. 28543; Cass. civ. sez. 5, ord. 7 aprile 2011, n. 8033; Cass. civ. sez. 5, 3 febbraio 2009, n. 4968), secondo cui “in tema di contenzioso tributario, l’avviso di recupero del credito d’imposta indebitamente compensato, oltre ad avere una funzione informativa dell’insorgenza del debito tributario, costituisce una manifestazione della volontà impositiva da parte dello Stato al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione ed è, come tale, impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, anche se emesso anteriormente all’entrata in vigore della L. 30 dicembre 2004, n. 311, che ha espressamente annoverato l’avviso di recupero quale titolo per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione“.

Per la Corte, pertanto, l’affermazione in diritto resa dalla sentenza impugnata, “èdunque erronea, perchè, nella fattispecie in esame – nella quale l’atto denominato come avviso di recupero del credito d’imposta indebitamente utilizzato, è stato notificato anteriormente all’entrata in vigore (1.1.2005) della L. n. 311 del 2004 che, all’art. 1, comma 421, ha espressamente annoverato l’avviso di recupero quale titolo per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione – disconosce che esso è pur sempre manifestazione della volontà impositiva da parte dello Stato, che trovava all’epoca comunque la sua fonte normativa primaria in forza del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31 e 41 bis”.

Nota

Come è noto, il Legislatore, nel corso di questi anni, per il rilancio dell’economia stagnante, ha concesso diversi crediti d’imposta da utilizzare in compensazione per il pagamento delle imposte.

Sicuramente i due bonus con maggiore appeal sono quello relativo alle assunzioni e quello relativo agli investimenti, che sono e continuano ad essere oggetto di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Al termine di tale attività di controllo è consegnato al soggetto verificato il processo verbale di constatazione, contenente le eventuali irregolarità emerse, che viene tramutato dagli uffici in avvisi di recupero, ritualmente notificati ai contribuenti.

Gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati (prestampati e predisposti in forma meccanizzata dall’Amministrazione finanziaria) prevedono una parte motiva, nella quale viene dato atto delle ragioni per le quali l’ufficio ha proceduto al recupero del credito d’imposta utilizzato, che nella generalità dei casi richiama un precedente processo verbale di constatazione, e delle avvertenze in ordine al pagamento delle somme dovute, alle modalità di presentazione del ricorso e di riscossione conseguente alla notifica dell’avviso.

In particolare, viene evidenziato che:

  • le somme complessivamente dovute devono essere versate entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’atto di recupero, effettuando il versamento, mediante modello F24, presso gli sportelli di qualsiasi concessionario o banca convenzionata o presso le agenzie postali, indicando il codice atto e il codice ufficio riportati sul frontespizio dell’avviso, utilizzando gli appositi codici tributo;

  • avverso tali atti è ammesso il ricorso, solo per i vizi propri dell’atto, alla Commissione tributaria provinciale competente entro 60 giorni dalla notifica dell’atto;

  • in caso di mancato versamento diretto l’ufficio provvede alla riscossione delle somme complessivamente dovute, maggiorate degli ulteriori interessi maturati, mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo.

 

Le critiche sulla legittimità degli atti emessi

Le critiche della dottrina al comportamento degli uffici si poggiano sostanzialmente, su quattro punti:

  • inoppugnabilità dell’avviso;

  • illegittimità della procedura di accertamento;

  • illegittimità dell’iscrizione a ruolo a titolo definitivo;

  • caducazione del provvedimento nel caso di presentazione di condono di cui alla legge n. 289/02 .

 

In ordine al primo punto, si è sostenuto che1 il contribuente possa eccepire l’inoppugnabilità dell’avviso medesimo in quanto non rientrante tra gli atti tassativamente previsti dall’art. 19 del D.Lgs. 31.12.1992, n. 546 ( la norma non prevede l’avviso di recupero di crediti d’imposta notificato al ricorrente come atto autonomamente impugnabile), così che l’assoluta mancanza di un provvedimento amministrativo oggetto di impugnativa impedisce al contribuente di invocare qualsiasi rimedio giurisdizionale per contrastare le ragioni vantate nei suoi confronti dall’Amministrazione finanziaria.

In buona sostanza, secondo una radicale interpretazione, l’avviso di recupero sarebbe da ritenere tamquam non esset, non essendo previsto da nessuna norma di legge. Si eccepisce, infatti, pregiudizialmente, che l’atto emanato dall’Agenzia delle Entrate si presenta assolutamente irrituale, non previsto da alcuna norma dell’ordinamento tributario e di conseguenza giuridicamente inesistente o, in subordine, nullo.

Nel caso di specie, secondo tale orientamento dottrinale, l’Agenzia delle Entrate, indica e qualifica un avviso di recupero, che non è un atto tassativamente previsto dalla legge, tanto è vero che nessuna delle norme in materia lo prevede come atto autonomamente impugnabile, ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

Seguendo tale ragionamento, l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto notificare, quindi, soltanto gli atti tassativi previsti dalla normativa rispettando le specifiche condizioni previste dalle singole leggi d’imposta, e non generici “avvisi di recupero” con modalità peraltro non previste da alcuna disposizione di legge, pena la nullità dell’intera procedura di recupero dei crediti d’imposta.

Altri ancora2 hanno sostenuto che l’accoglimento della tesi “che vede l’atto di recupero come una comunicazione delle risultanze del controllo formale …comporterebbe la non impugnabilità dell’atto davanti alla Commissione tributaria provinciale ( a norma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992) e la conseguente necessità di attendere l’iscrizione a ruolo delle somme contestate per poter adire l’organo giurisdizionale. Parrebbe quindi suscettibile di critica la scelta, effettuata in seno al modello di avviso di recupero di cui alla circolare 8 luglio 2003, n. 35/E, di consentire il ricorso alla Commissione tributaria provinciale avverso l’atto entro 60 giorni dalla sua notificazione”.

In ordine al secondo punto (illegittimità della procedura di accertamento) la critica dottrinaria ha fatto rilevare che il procedimento utilizzato dagli uffici è estraneo alla normativa di riferimento dettata dal D.P.R. n. 600/73 che regola le disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (controlli formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/73 e controlli sostanziali di cui agli artt. 37, 38, 39, 40 e 41-bis del citato D.P.R. n. 600/73), in quanto in “assenza di espressa previsione normativa, le regole di accertamento dei suddetti crediti d’imposta……avrebbero dovuto seguire le vie ordinarie, vale a dire le procedure già presenti nell’ordinamento tributario vigente… Si tratterebbe, in sostanza, di una atipica e per certi versi paradossale procedura di accertamento che pare recepire, in un unico provvedimento, sia controlli di tipo formale che verifiche di natura sostanziale e valutativa3”.

Secondo dottrina già citata4una delle soluzioni prospettabili è quella che vede l’Agenzia delle entrate procedere ai recuperi in forza dell’art.41-bis del D.P.R. n .600/1973 considerando il fatto che lo stesso attribuisce il potere di disconoscere deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti e di procedere ad accertamenti parziali di redditi o maggiori redditi imponibili, senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/73”.

In ordine alla illegittimità dell’iscrizione a ruolo a titolo definitivo si è fatto notare che tale procedura appare in contrasto con quanto previsto dall’art. 14 del D.P.R. n. 602/1973 (norma che si occupa delle iscrizioni a ruolo a titolo definitivo) dal successivo art. 15, c. 1, del D.P.R. n. 602/73, che riguarda l’iscrizione frazionata, entrambe previste per ipotesi tassative, e dall’art. 15 del D.Lgs. n. 218/97, se si ritiene l’atto di recupero avviso di accertamento (mancando, inoltre, delle indicazioni per poter accedere all’istituto dell’accertamento con adesione).

In ordine all’ultimo punto (caducazione dell’atto per avvenuto condono) si è fatto rilevare che in presenza di condono tombale ex art. 9 L. 289/2002, secondo cui, al comma 9, “la definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni…”, mentre il successivo comma 10, ha previsto che “il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta, fra l’altro, la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario”, nessun atto poteva essere emesso dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti dei soggetti che hanno aderito a tale forma di condono.

Né si può obiettare, secondo tale tesi, che l’atto impugnato non rientra tra quegli accertamenti cui il condono tombale preclude l’emissione in quanto “non incide sulla base imponibile”. A prescindere, infatti, dal nomen iuris utilizzato, qualora si voglia attribuire valore giuridico all’atto in questione, non si può che arrivare alla conclusione che si tratta, a tutti gli effetti, di un avviso di accertamento che incide in maniera sostanziale nella sfera economica del contribuente: è un atto con il quale viene disconosciuta una agevolazione fiscale, sulla base di un’analisi di merito dei presupposti previsti dalla legge.

Del resto, la stessa procedura adottata dall’Amministrazione Finanziaria (accesso, processo verbale di constatazione, emissione dell’avviso) lascia chiaramente intendere che la tipologia del controllo effettuato non rientra tra quelli “formali” definiti dagli articoli 36 bis e 36 ter del D.P.R. n. 600/1973 (che il condono tombale non “blocca”). E’ notorio infatti che nel caso di controlli formali, il modus procedendi è ben diverso da quello utilizzato nel caso in questione: l’Amministrazione finanziaria, nei controlli ex art. 36 bis del D.P.R. n.600/73, provvede alla liquidazione delle dichiarazioni procedendo direttamente alla iscrizione a ruolo delle somme richieste; nel controllo ex art. 36 ter del D.P.R. n.600/73 l’Amministrazione Finanziaria provvede dapprima a chiedere la documentazione in possesso del contribuente (che non si allega più alla dichiarazione) e quindi, ricorrendone i presupposti, a notificare la cartella di pagamento.

 

La legittimità degli avvisi di recupero

Riportate le diverse teorie, volte a sindacare l’operato dell’amministrazione finanziaria, confutiamone, attraverso ragionamenti logico–giuridici la validità5, manifestando il nostro pensiero.

Il particolare e semplice meccanismo di fruizione del credito d’imposta consiste, come sappiamo, in una agevolazione immediatamente fruibile da parte del contribuente.

L’avviso di recupero che l’ufficio notifica altro non è che un atto di revoca di agevolazioni indebitamente fruiti, con contestuale richiesta di versamento delle somme dovute.

Trattandosi di un provvedimento di revoca non abbisogna di uno schema tipico, predeterminato, essendo, di fatto, a forma libera.

Esso serve innanzitutto a dichiarare la negazione o la revoca dell’agevolazione pretesa dal contribuente.

Questa considerazione spinge, dunque, in favore della natura dichiarativa, piuttosto che costitutiva, dell’avviso di recupero e del suo dispositivo, contenuto nella parte motiva dell’atto; tale carattere dichiarativo si espande de plano proprio al precipuo effetto di negare o revocare l’agevolazione, che promana dall’atto, tanto è vero che restano dovute in conseguenza del diniego o della revoca tutte le imposte ed i contributi  non versati (coi relativi accessori) dal momento in cui il contribuente ha iniziato a beneficiare illegittimamente dell’agevolazione. Diversamente, se l’efficacia dell’atto fosse costitutiva, esso dovrebbe produrre effetti solo per l’avvenire, senza poter spingersi a porre in discussione la situazione pregressa del contribuente interessato.

L’adozione di tale provvedimento, nel rispetto delle norme previste dallo statuto del contribuente, rende più agevole la successiva lettura della cartella, in quanto, come abbiamo visto, nel corpo del provvedimento viene riportata la motivazione, che descrive l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa dell’ufficio, per informare il contribuente delle ragioni degli atti medesimi.

Né appare conferente il richiamo all’art. 19 del D.Lgs n. 546, atteso che il comma 1, lettera g, del citato D.Lgs. n. 546/92, fra gli atti impugnabili vi fa rientrare “ l diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di definizione agevolata di rapporti tributari”, mentre, in ogni caso, la successiva lettera i vi fa rientrare “ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie”.

Secondo la relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo, l’art. 19 contiene la disciplina degli atti impugnabili secondo la direttiva dell’art. 30, lett. e, della legga delega del 30 dicembre 1991, n. 413, che impone l’identificazione degli atti e dei rapporti dei quali il giudice tributario conosce, ed “ha inteso eliminare tutti i dubbi o le incertezze che si erano manifestate in proposito sia in dottrina che nella giurisprudenza”.

La stessa circolare n. 98/E del 23 aprile 1996, emanata all’indomani della pubblicazione del decreto legislativo di riforma del contenzioso tributario, osserva che l’art. 19, c. 1, lett. h, del D.Lgs n. 546/92 prevede che tale norma riporta “l’esplicita indicazione di alcuni atti conclusivi di un procedimento, o sub-procedimento, che un consolidato indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto autonomamente impugnabili per il fatto di avere come causa l’affermazione di un’obbligazione tributaria e di incidere concretamente nella sfera giuridica del soggetto passivo del tributo”.

L’ulteriore e successiva problematica che si è manifestata riguarda il fatto che l’atto è impugnabile solo per vizi propri, cioè in presenza di un vizio che riguarda direttamente l’atto.

Occorre osservare, sul punto, che l’art. 19 del D.Lgs n. 546/92, al comma 3 dispone che “gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.

In ordine a ciò, la circolare n. 98/E del 23 aprile 1996 ha precisato che “il comma 3 afferma il principio dell’autonoma impugnabilità (per vizi propri) degli atti sopra elencati; in deroga è stabilito che l’impugnazione di un atto possa estendersi anche ad altri atti precedenti che, pur impugnabili, non siano stati impugnati per difetto di notifica. Conseguentemente, il giudizio riguarderà, in questo caso, sia i vizi del primo atto non notificato sia quelli del secondo atto notificato”.

L’atto di recupero non impugnato non consente di presentare ricorso contro la successiva cartella per contestare la legittimità e fondatezza dell’atto di recupero. Se, invece, l’atto presupposto non è autonomamente impugnabile, i suoi vizi, di qualsiasi natura, possono essere fatti valere in occasione dell’impugnativa dell’atto o degli atti successivi.

L’impugnabilità per vizi propri riguarda, quindi, tutti gli atti impugnabili, significando che se l’atto precedente non è stato oggetto d’impugnazione, divenendo così definitivo, i vizi di quest’ultimo non possono essere validamente eccepiti in sede di impugnazione dell’atto successivo, e non che l’atto possa essere impugnato solo per vizi intrinseci (errore materiale o di calcolo).

In conclusione, se l’atto di recupero non viene contestato, la successiva cartella potrà essere impugnata solo per vizi propri, non potendo eccepire vizi di legittimità o di merito dell’atto di recupero, divenuto definitivo.

Pertanto, l’avviso di recupero è suscettibile di divenire definitivo per mancata impugnazione nei termini da parte del contribuente e alla definitività dell’avviso di recupero segue, poi, l’iscrizione a ruolo delle somme dovute e la notifica della relativa cartella esattoriale, impugnabile quest’ultima, come in ogni altro caso, per vizi propri oltre che per inesistenza o nullità della notifica del propedeutico avviso di recupero.

Appurato che trattasi di un provvedimento di revoca di agevolazioni, la successiva procedura adottata da parte degli uffici appare, di conseguenza, legittima.

Né ci sembra convincente il richiamo all’art.36-ter del D.P.R. n. 600/73, che pur se riformulato dal legislatore, è sempre un controllo che si limita all’esame formale; invece, nel caso di specie siamo in presenza di un controllo sostanziale, e pertanto fuori dalle ipotesi di controllo ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/19736, così che il richiamo a tale norma ed ai relativi termini non ci sembra conducente.

Da quanto finora detto ne deriva anche, a nostro avviso, la legittimità dell’iscrizione a ruolo a titolo definitivo, in quanto in caso di mancato versamento diretto si provvede alla riscossione integrale delle somme dovute, ex art. 14 del D.P.R. n. 602/73. Nel caso di specie l’illegittimità della compensazione effettuata determina una imposta non versata. Pertanto, le critiche mosse ad un sistema penalizzante, iscrizione per intero, non appaiono convincenti.

In ordine al condono, si fa rilevare che la circolare n. 22/E del 28 aprile 2003 (al punto 6.2) ha chiarito che la definizione prevista dall’articolo 9 della legge n. 289/2002 (condono tombale) non spiega effetti sui crediti d’imposta utilizzati dai contribuenti in quanto “commisurati a presupposti che non hanno alcuna relazione con la base imponibile. Tali crediti di imposta hanno, infatti, funzioni incentivanti che si connettono al fenomeno tributario solo al momento del loro utilizzo in diminuzione delle imposte dovute”.

Pertanto, l’accertamento della esistenza dei presupposti che ne legittimano la fruizione prescinde da ogni relazione con la base imponibile dichiarata o accertabile nei confronti dei contribuenti e quindi anche dalla eventuale definizione della stessa in base alle disposizioni contenute nell’articolo 9.

Ne consegue, quindi, che, anche in presenza di definizione automatica, effettuata ai sensi dell’art.9 (e naturalmente, a maggior ragione nel caso di definizione ex artt.7 e 8), sono legittimamente esercitabili da parte dell’Amministrazione finanziaria i poteri di controllo e verifica in relazione alla sussistenza o meno dei presupposti di legge per la fruizione dei crediti d’imposta, e la notifica dei successivi provvedimenti di recupero7.

Alla luce dell’ampio excursus tracciato, volto a dare luce alla natura dell’atto di recupero, si osserva, da ultimo, che tali avvisi di recupero non possono essere definiti in contraddittorio, attraverso l’istituto dell’accertamento con adesione, di cui al D.Lgs. n. 218/1997, e pertanto si manifesta illegittima l’istanza di adesione presentata, in caso di notifica di atto di recupero, in quanto non si è in presenza di un avviso di accertamento e/o rettifica.

Conseguentemente, il contribuente che comunque presenta l’istanza di adesione non può godere dei benefici ad essa connessi, fra l’altro quello relativo alla sospensione dei termini per ricorrere e per l’iscrizione a ruolo. In particolare, ciò sta a significare che qualora il contribuente presenti l’istanza, pensando di poter usufruire della sospensione per ricorre di 90 giorni, è naturale che l’ufficio non emetta l’invito a comparire, atteso che non trattasi di atto definibile in adesione, e pertanto il ricorso va eventualmente effettuato entro i normali termini per ricorrere.

Infatti, la presentazione di una istanza di adesione per un atto non concordabile non produce gli effetti propri dell’istanza di adesione stessa8, dal momento che la norma assegna alla presentazione dell’istanza di adesione l’effetto automatico e predeterminato di sospensione, per novanta giorni, dei termini per impugnare l’atto di accertamento notificato dall’ufficio, solo nei casi in cui l’atto sia definibile, non essendo sostenibile, a nostro avviso, la tesi secondo cui alla sola presentazione dell’istanza, per qualsiasi tipo di atto emesso dall’Amministrazione finanziaria, ne derivi una sospensione dei termini generalizzata.

Le modifiche della legge n. 311/2004 (cd. Finanziaria 2005)

La legge n. 311/2004 (art.1, cc. 421, 422 e 423) al fine di sgombrare i dubbi sorti, e il contenzioso già instaurato, dà forza legislativa al pensiero dell’Amministrazione finanziaria, e formalizzato nelle costituzioni in giudizio che gli uffici finanziari predispongono per difendere le proprie posizioni, secondo cui si è in presenza di un atto di diniego delle agevolazioni, autonomamente impugnabile per vizi propri, da cui discende la legittimità dell’iscrizione a ruolo effettuata, prevedendo che:

  • fermi restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli artt.31 e seguenti del D.P.R. n.600/73, ai fini delle imposte sui redditi, e dagli artt. 51 e ss. del D.P.R.n.633/72, ai fini Iva, “per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’art.17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, l’Agenzia delle Entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’art.60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n.600 del 1973. La disposizione del primo periodo non si applica alle attività di recupero delle somme di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto legge 20 marzo 2002, n.36, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2002, n.96, e all’articolo 1, comma 2, del decreto legge 24 dicembre 2002, n.282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27” (di fatto, la disposizione sopra descritta non trova applicazione per i crediti d’imposta riconosciuti agli autotrasportatori per gli anni 1992, 1993 e 1994 nonché per i benefici concessi alle banche per l’effettuazione di alcuni adempimenti comunitari);

  • in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, delle somme dovute entro il termine assegnato dall’ufficio, comunque non inferiore a sessanta giorni, si procede alla riscossione coattiva con le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.602, e successive modificazioni”;

  • la competenza all’emanazione degli atti di cui al comma 421, emessi prima del termine per la presentazione della dichiarazione, spetta all’ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto per il precedente periodo d’imposta”.

 

In relazione alle censure mosse abbiamo formulato delle considerazioni ed osservazioni che oggi hanno trovato, dunque, l’avallo del Legislatore. Non ci sembra che sia possibile sostenere che il legislatore abbia salvato l’Erario: la lettura equilibrata delle norme ci consente di poter scrivere che le norme contenute nella Finanziaria 2005 non abbiano natura innovativa, al più interpretativa di un dettato normativo di per sé abbastanza chiaro ma reso complicato dalle difese strenue, ancorate a pregiudiziali di diritto prive di fondamento.

 

Il precedente giurisprudenziale della Corte di Cassazione

Rileviamo che, con l’ordinanza n. 4965 del 2 marzo 2009 la Corte di Cassazione si è occupata della questione.

La Corte ha rilevato che la sentenza impugnata ha ritenuto illegittimo l’avviso di recupero di credito di imposta indebitamente compensato (con comminatoria, in caso di inadempienza, di riscossione mediante iscrizione a ruolo) sul rilievo che, prima dell’entrata in vigore della normativa di cui all’art. 1 L. 311/04, tale atto non era annoverabile tra quelli nominativamente previsti dall’art. 19 Dlgs 546/92, la pretesa tributaria non potendo estrinsecarsi attraverso procedure e provvedimenti atipici mancanti, tra l’altro, dell’indicazione della possibilità del contribuente di fruire dell’applicazione delle sanzioni in misura ridotta.

L’Agenzia delle Entrate, invece, ha censurato tale statuizione per violazione di legge assumendo che la qualificazione di un provvedimento non dipende da elementi formali quali l’intitolazione bensì dal suo contenuto ed effetti nella specie riconducibili all’avviso di accertamento o all’atto di diniego/revoca dell’agevolazione, allo scopo formulando il relativo quesito.

Per la Corte di Cassazione, il ricorso è manifestamente fondato “posto che alla verifica di non spettanza di una agevolazione tributaria non può non seguire l’esercizio della potestà impositiva di recupero rimesso all’organo deputato al controllo dell’esatto adempimento degli obblighi tributari che transita dalla categoria generale degli atti di diniego o revoca di agevolazioni ex art. 19 lett. h Dlgs 546/92 autonomamente impugnabili avanti alla giurisdizione tributaria (Cass. 11006/90)”.

Inoltre, “non osta il fatto che difetti una domanda in tal senso del contribuente laddove sia la legge a riconoscere direttamente in capo al medesimo il diritto all’agevolazione senza obblighi di preventiva comunicazione: diritto questo esercitabile mediante compensazione al momento del pagamento”.

L’avviso di recupero, “pur avendo funzione informativa dell’insorgenza del debito tributario illegittimamente azzerato o ridotto tramite la operata compensazione con credito non spettante, nel preannunziare la riscossione coattiva, manifesta la volontà impositiva dello Stato su una pretesa ben individuata nell’an e nel quantum al pari di un avviso di accertamento o di liquidazione (Cass. 12194/08) mentre l’omesso avvertimento circa la possibilità di usufruire delle sanzioni in misura ridotta non costituisce elemento essenziale dell’atto né impedisce di avvalersene”.

La Corte, pertanto, rileva che “l‘elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del Dlgs 546/92, pur dovendosi considerare tassativa, soggiace ad interpretazione estensiva anche in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 448/01 (Cass. 21045/07) ed in questa logica evolutiva collocato anche il disposto della L. 311/04 che novera l’avviso di recupero quale titolo per la riscossione di crediti indebitamente utilizzato in compensazione”.

Di conseguenza, “l’avviso di recupero con il quale l’ufficio procede al recupero del credito di imposta ex lege 388/00 per insussistenza delle condizioni del beneficio rientra nel novero dei provvedimenti impositivi presupposti al diniego delle fruite agevolazioni come tali impugnabili avanti alle Commissioni tributarie a sensi dell’art. 19 Dlgs 546/92”.

29 luglio 2014

Gianfranco Antico

 

1 ROMANO-ROMANO, Nuovi investimenti in aree depresse. Avvisi di recupero del credito d’imposta. Possibili eccezioni procedurali, in “La Settimana fiscale”, n. 45/2004, pag. 40; si confronti anche VILLANI, Crediti d’imposta, raccolta di articoli, in www.studiotributariovillani.it .

2 ZAMARO, Avvisi di recupero degli incentivi erogati per l’incremento occupazionale, in “Corriere tributario”, n.40/2004, pag.3150.

3 ROMANO-ROMANO, Nuovi investimenti in aree depresse. Avvisi di recupero del credito d’imposta. Possibili eccezioni procedurali, in “La Settimana fiscale”, n. 45/2004, pag. 40.

4 ZAMARO, Avvisi di recupero degli incentivi erogati per l’incremento occupazionale, in “Corriere tributario”, n. 40/2004, pag. 3150.

5 In merito, per compiutezza di esame, si confronti ANTICO, Investimenti in beni strumentali: l’attività di controllo verso i fruitori del bonus, in “Azienda&Fisco”, n. 21/2003, pag. 958; MINERVINI, L’impugnabilità dell’atto di recupero del credito d’imposta, Bari, 2004; BUSCEMA, Avviso di recupero per il bonus investimenti: natura giuridica e regime processuale, in “Finanza&Fisco”, n. 28/2005, pag. 2267; ANTICO, Avvisi di recupero per i bonus investimenti e assunzioni: eccezioni procedurali e confutazione delle critiche, in “Finanza&Fisco”, n. 47/2004, pag. 4509; TOTO, L’avviso di recupero dei crediti d’imposta, avviso di accertamento o mero atto impositivo ?, in “Rivista della Scuola Superiore dell’economia e delle finanze”, n.11/2004; ANTICO, Crediti d’imposta: la legittimità degli atti di recupero, in “Consulenza”, n. 7/2005, pag.18; ANTICO, Bonus investimenti nelle aree svantaggiate: l’utilizzo del veicolo immatricolato come autocarro all’attenzione della giurisprudenza, in “Finanza&Fisco”, n. 41/2005, pag. 3592; ANTICO, Investimenti nelle aree svantaggiate: i giudici siciliani danno ragione al Fisco, in “il fisco”, n. 33/2007, pag. 4883.

6 In merito, per un confronto, si veda la delibera n. 19/02 del SECIT, che con un approfondito studio si è occupata della problematica.

7 Cfr. ANTICO, Aziende: il condono fiscale non salva il credito d’imposta, in www.https://www.commercialistatelematico.com, 2007. La sentenza conferma la bontà dell’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate: “la sentenza impugnata non merita censura alcuna e l’appello, manifestamente infondato, va rigettato”. Proseguono i giudici siciliani: “l’assunto secondo cui l’adesione al condono fiscale ex lege n.289/2002 ed il suo perfezionamento, mediante definizione automatica dei redditi, precluderebbe all’Amministrazione finanziaria la possibilità di effettuare, al di fuori del controllo formale di cui al comma 2, dell’art. 36-ter del D.P.R. n.600/1973, accertamenti per contestare indebite utilizzazioni di agevolazioni quali contributi incentivanti concessi nella forma di credito di imposta è manifestamente erroneo in quanto la preclusione dell’esercizio dei poteri di cui all’art. 7, c.11 della l.n.289/2002 va riferita solo ed esclusivamente alla materia imponibile… La preclusione di accertamento prevista dal precitato art. 7, condivisa dai primi giudici, riguarda solo la materia imponibile, e non gli eventuali incentivi utilizzabili come crediti d’imposta, con la conseguenza che le agenzie fiscali mantengono integre le proprie possibilità di controllo sostanziale e di contestazione con rigurado alla richiesta di recupero”. Per una autorevole tesi contraria, cfr. CONIGLIARO, Credito d’imposta: il condono fiscale blocca l’avviso di recupero. Questa la conseguenza di un controllo di natura accertativi, in “il fisco” n. 15/2005, pag .2298. L’autore, brillantemente, dalla sentenza n. 117 del 1° luglio 2004, depositata il 19 luglio 2004, emessa dalla Sezione I della CTP di Messina, con la quale i giudici peloritani hanno rilevato che “indipendentemente dalla intestazione dell’avviso e con riferimento specifico al contenuto dell’atto … (esso) ha tutti i requisiti di un accertamento con consequenziale rettifica di negata usufruibilità, da parte della società ricorrente, delle agevolazioni previste dall’art.8 della L. n. 388 del 2000” (a prescindere, infatti, dal nomen iuris utilizzato, la sentenza arriva alla conclusione che si tratta, a tutti gli effetti, di un avviso di accertamento con consequenziale rettifica di negata fruibilità, da parte della società ricorrente, delle agevolazioni previste dall’art.8 della L. n. 388 del 23 dicembre 2000. Siamo in presenza, quindi, di un avviso di accertamento che incide in maniera sostanziale nella sfera economica del contribuente: è un atto col quale viene disconosciuta una agevolazione fiscale, sulla base di un’analisi di merito dei presupposti previsti dalla legge), ne fa derivare “come naturale corollario, che l’avviso di recupero (rectius: di accertamento) relativo al credito d’imposta non può essere emanato nei confronti di chi ha aderito al condono ex artt.7 e 9 della L. 27 dicembre 2002, n. 289. Tali norme, infatti, prevedono che la definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni (così il comma 9 dell’art.9 della L. n. 289/2002). Al comma 10, lettera a), dello stesso art. 9 è espressamente previsto che il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta: a) la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario. È di tutta evidenza che nessun atto, pertanto, può essere validamente emesso dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di chi ha aderito alla sanatoria, nemmeno per l’accertamento sostanziale della presenza dei requisiti per godere del credito d’imposta. Tali articolate e condivisibili argomentazioni in merito alla natura accertativa dell’avviso di recupero del credito d’imposta, confermano che siamo in presenza di un controllo di natura tipicamente sostanziale, così come precisato dalla stessa Amministrazione finanziaria nella circolare n.3/E del 29 gennaio 2004 laddove già nel titolo del paragrafo 5 definisce attività di controllo sostanziale quella relativa ai crediti di imposta. E in siffatte ipotesi, gli artt.7 e 9 della L. n. 289/2002 precludono all’Amministrazione finanziaria l’azione nei confronti del contribuente, il quale potrà già in sede di accesso – ovvero nel successivo ricorso in Commissione tributaria – rappresentare di aver aderito al condono fiscale e, pertanto, eccepire l’illegittimità del controllo posto in essere e la