IRAP: il caso del promotore finanziario

in periodo di Unico, analizziamo il caso dell’assoggettabilità ad IRAP del contribuente che esercita l’attività di “promotore finanziario”

Con l’ordinanza n. 9238 del 24 aprile 2014 (ud. 3 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato, richiamando la sentenza a SS.UU. n. 12110 del 26 maggio 2009, che “in tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 44, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di agente di commercio, di cui alla L. n. 204 del 1985, art. 1, e di promotore finanziario di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2, è escluso dall’applicazione dell’imposta qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Ed invece il giudice di merito ha ritenuto che il contribuente fosse automaticamente e necessariamente soggetto a imposta”.

Brevi note

Come visto, con la sentenza n. 12110 del 26 maggio 2009 (ud. del 12 maggio 2009) la Corte di Cassazione a SS.UU. era già intervenuta sull’Irap degli agenti di commercio e dei promotori finanziari.

Il punto su cui era stata chiamata la Corte a pronunciarsi è se, per l’applicabilità dell’IRAP in relazione agli agenti di commercio eventualmente non organizzati in forma di impresa, “sia comunque necessario l’accertamento in fatto del presupposto della autonoma organizzazione”, ove la posizione espressa dalla Quinta Sezione civile della Corte non è stata univoca.

Le Sezioni Unite prendono le mosse dalla natura e della ratio dell’imposta che ha dato la Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001.

Il giudice delle leggi, con la sentenza n. 156 del 2001, ha sancito la legittimità costituzionale dell’imposta osservando che “l’IRAP non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce … il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate”, sicchè “non riguardando la normativa denunciata la tassazione dei redditi personali, le censure (di illegittimità costituzionale) riferite all’asserita equiparazione del trattamento fiscale dei redditi di lavoro autonomo a quello dei redditi di impresa risultano fondate su un presupposto palesemente erroneo”.

Le Sezioni unite, quindi, “anche con riferimento all’agente di commercio e al promotore finanziario (quest’ultimo per l’ipotesi che lo stesso non sia un lavoratore dipendente“, come è possibile che egli sia alla luce del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, c. 2), ribadiscono “il principio che la soggezione ad IRAP della loro attività è possibile solo nell’ipotesi nelle quali sussista il requisito dell’autonoma organizzazione che costituisce accertamento di fatto spettante al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato”.

Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: “In tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 44, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di agente di commercio, di cui alla L. n. 204 del 1985, art. 1, e di promotore finanziario di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni”.

Nel caso sottoposto alle Sezioni Unite, tale accertamento è stato condotto dal giudice di merito il quale è giunto alla conclusione che “il contribuente risulta esercitare l’attività di rappresentante di commercio con l’esclusivo apporto del proprio impegno, senza l’ausilio di rilevanti mezzi specifici, di capitali e/o prestazioni lavorative di terzi, situazione peraltro non contestata dall’Ufficio”. Tale accertamento di fatto non è oggetto di censura nel ricorso nel quale si sostiene esclusivamente la soggezione ontologica dell’agente di commercio all’imposizione sul valore aggiunto prodotto.

Successivamente, con l’ordinanza n. 10012 del 18 giugno 2012 (ud. 26 aprile 2012), la Corte di Cassazione, dopo aver ribadito che, alla luce dei principi affermati in precedenza a SS.UU., secondo cui, in tema di IRAP, l’esercizio dell’attività di promotore finanziario di cui all’art. 31, c. 2, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata (il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: – sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; – impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui), ha affermato che “a tali principi non risulta essersi attenuta la decisione impugnata laddove ha ritenuto sussistente l’autonoma organizzazione sulla base del valore dei beni strumentali, dell’attività lavorativa svolta, del possesso di un archivio clienti adeguatamente protetto, dell’aggiornamento quotidiano e costosi circa l’andamento dei mercati, senza alcun riferimento alla circostanza che il contribuente si sia servito, o meno, negli anni in contestazione, di beni strumentali eccedenti, secondo l”id quod plerumque accidit’, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività”.

Ricordiamo che con circolare n. 28 del 28 maggio 2010 l’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Affari Legali e Contenzioso, ha diramato ulteriori istruzioni operative in ordine alla gestione del contenzioso pendente in materia di IRAP – autonoma organizzazione, a seguito della nuove prese di posizione della giurisprudenza della Corte di cassazione, che fanno seguito alle indicazioni diramate con circolare n. 45/E del 13 giugno 2008.

Proprio la circolare n. 45/E del 2008, punto 7, ha esaminato la questione dell’assoggettamento ad IRAP dei redditi derivanti dall’attività d’impresa, precisando che, conformemente a quanto disposto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001 secondo cui “l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa”, per tutte le attività d’impresa il requisito dell’autonoma organizzazione è intrinseco alla natura stessa dell’attività svolta e dunque sussiste, in ogni caso, il presupposto impositivo.

Con riferimento all’assoggettamento ad IRAP degli agenti di commercio e dei promotori finanziari, con la predetta circolare è stato precisato che “in giudizio va quindi sostenuta la natura imprenditoriale dell’attività degli agenti di commercio e dei promotori finanziari non legati da un rapporto di lavoro dipendente e, di conseguenza, l’assoggettamento all’IRAP”, prendendo atto di quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli agenti di commercio sono qualificabili come imprenditori commerciali ai sensi degli artt. 2082 e 2195 del codice civile (cfr. Cass. 11 ottobre 1991, n. 10673; 6 giugno 2003, n. 9102).

Considerato tuttavia che in materia di IRAP l’orientamento della Corte di Cassazione era ancora oscillante sul punto le Entrate ritennero opportuno, tuttavia, precisare che “in subordine occorre comunque dedurre, così come per i lavoratori autonomi, in ordine all’esistenza dell’autonoma organizzazione”.

La circolare richiama le sezioni unite della Corte di cassazione, che con le sentenze SS.UU., 26 maggio 2009, nn. 12108, 12109, 12110, 12111, hanno affrontato la questione della sistematica assoggettabilità ad IRAP delle attività “ausiliarie” del commercio di cui all’art. 2195 del codice civile, svolte dall’agente di commercio, dal promotore finanziario e in generale dai soggetti “ausiliari”.

Il principio affermato con riferimento alle singole controversie trattate (riguardanti gli agenti di commercio e i promotori finanziari) è stato esteso dalla Suprema Corte a tutte le attività ausiliarie di cui all’art. 2195 del codice civile, considerato che i giudici di legittimità pongono a fondamento del proprio ragionamento la distinzione tra “l’attività d’impresa”, nella quale l’elemento organizzativo sarebbe connaturato, e “le attività ausiliarie”, che possono essere svolte dal soggetto senza organizzazione di capitali o lavoro altrui e per le quali si rende necessaria la valutazione caso per caso dell’esistenza di un’autonoma organizzazione.

Si ricorda che la Corte di cassazione ha definito imprese ausiliarie “quelle che, prive di intrinseca autonomia funzionale, hanno come scopo tipico l’oggettiva agevolazione di altre attività,sicché l’impresa esercente l’attività, ausiliaria, a differenza di quella produttrice di servizi (la cui attività, di carattere autonomo, ha per oggetto un prodotto destinato ad essere utilizzato dalla generalità delle imprese), se da un lato deve avere una propria struttura organizzativa ed operativa ben distinta da quella delle imprese ausiliate, dall’altro deve svolgere una funzione accessoria, complementare e strumentale rispetto all’attività,tipica di altre imprese talché, ove venisse separata da queste, non avrebbe alcuna possibilità di utile applicazione” (Cass. 28 maggio 2003, n. 8485).

20 giugno 2014

Roberta De Marchi