Le operazioni sul capitale sociale

Analizziamo in breve le diverse operazioni che le società possono effettuare sul capitale sociale: gli aumenti di capitale, i casi di riduzione e gli effetti per i terzi e i soci, il problema delle azioni proprie delle SPA.

Le operazioni sul capitale sociale: aspetti generali

A seguito della riforma del diritto societario, intervenuta con D.Lgs. 17.1.2003, n. 6, le forme giuridiche previste per la società dal codice civile – e tra esse soprattutto le società per azioni e a responsabilità limitata – si sono arricchite di possibilità inedite.

Il capitale sociale, garanzia per il funzionamento della società e riscontro diretto dell’influenza dei soci sulla stessa, è coinvolto nelle innovazioni, se solo si pensa alla vasta gamma di azioni (ordinarie, speciali, limitate, etc.) delle quali è consentita l’emissione, nonché alla possibilità di partecipare al patrimonio e quindi all’attività dell’impresa societaria attraverso strumenti finanziari partecipativi, ovvero attraverso gli schemi dell’associazione in partecipazione e della cointeressenza, senza dover partecipare anche al capitale.

In ogni caso, il capitale si presenta come un’entità soggetta alle variazioni che potranno essere deliberate dall’assemblea dei soci secondo esigenze generalmente indotte dalla necessità, per l’impresa, di garantire i soci e/o i creditori e gli investitori.

 

Aumento di capitale e riserva legale

le operazioni sul capitale socialeSecondo una posizione espressa dal Notariato Triveneto1 (contenuta negli «Orientamenti» del settembre 2004), l’aumento del capitale era ritenuto non possibile mediante l’utilizzo della riserva legale.

Si rammenta che, ai sensi del vigente art. 2430, c.c., l’obbligo della riserva legale è soddisfatto dalle S.p.a. se dagli utili netti annuali è dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a che questa non sia pari a 1/5 del capitale sociale.

Tale riserva deve essere reintegrata se viene diminuita per qualsiasi ragione, ed è salva l’eventuale applicazione delle disposizioni previste da leggi speciali.

Una più recente versione (2005) degli orientamenti ha abrogato e superato la precedente posizione interpretativa, e ciò appare coerente con la norma civilistica, che implicitamente ammette la possibilità che la riserva legale decrementi, imponendone però la successiva reintegrazione fino al livello minimo previsto (1/5 del capitale).

 

Riduzione del capitale per perdite

In generale, se il capitale sociale risulta diminuito di oltre 1/3 in conseguenza di perdite, l’art. 2446, c.c., prevede che gli amministratori o il consiglio di gestione (e, nel caso di loro inerzia, il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza), convochino l’assemblea per gli opportuni provvedimenti (tra i quali la predisposizione di una relazione sulla situazione patrimoniale, da sottoporre allo stesso organo assembleare).

Se la perdita non è ridotta entro l’esercizio successivo a meno di 1/3, la riduzione del capitale, in proporzione delle perdite accertate, deve essere disposta dai seguenti soggetti:

  • assemblea o consiglio di sorveglianza che approva il bilancio dell’esercizio;

  • (o, in caso di inerzia dei primi), Tribunale, adito dagli amministratori e dai sindaci, ovvero dal consiglio di sorveglianza.

Nella seconda delle ipotesi indicate, il Tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori.

 

La riduzione al di sotto del limite legale

Se la perdita di oltre 1/3 del capitale della S.p.a. causa la riduzione dello stesso al di sotto della soglia dei 120.000 euro, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza, devono convocare tempestivamente l’assemblea per disporre la riduzione del capitale e il suo contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo, ovvero la trasformazione della società in S.r.l., oppure in società personale, senza escludere forme eterogenee di trasformazione (art. 2447, c.c.).

Secondo gli orientamenti del Notariato Triveneto, l’effettuazione della riduzione del capitale per perdite è subordinata alla presentazione in assemblea (a norma degli artt. 2446 e 2447 c.c.) di una situazione patrimoniale, redatta con gli stessi criteri dell’ultimo bilancio, dalla quale emergano le perdite.

Tale situazione non può essere anteriore a 120 giorni rispetto alla data dell’assemblea.

La procedura non è applicabile se le perdite emergono in sede di approvazione del bilancio e sono ripianate nella stessa assemblea, o in un’assemblea immediatamente successiva.

Se sono trascorsi oltre 120 giorni tra l’assemblea per il ripianamento delle perdite e la data di riferimento del bilancio, gli amministratori devono attestare che le risultanze del bilancio non hanno medio tempore subito significative variazioni.

Se però trascorrono più di 180 giorni dalla data di riferimento del bilancio, questo non può più essere utilizzato per la copertura delle perdite.

Solamente in tale ipotesi, è ritenuta necessaria le redazione di una specifica situazione patrimoniale, avente (per l’appunto) le caratteristiche prescritte per il bilancio (con il rispetto dei postulati civilistici, nonché delle indicazioni dei principi contabili).

Oltre che in conseguenza di perdite, il capitale sociale – a norma dell’art. 2445, c.c., può essere naturalmente ridotto volontariamente, sia mediante la liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante il rimborso del capitale ai soci stessi, nei limiti ammessi dagli artt. 2327 e 2413 (rammentando che, in particolare, il capitale della S.p.a. non può essere inferiore a 120.000 euro).

 

La tutela dei terzi

Va evidenziato che, a norma dei commi 3 e 4 dell’articolo 2445, c.c., la deliberazione di riduzione del capitale può essere eseguita soltanto dopo 90 giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.

Il Tribunale può comunque disporre che l’operazione abbia comunque luogo, se ritiene infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori o la società ha prestato idonea garanzia.

Esclusione e limitazione

In generale, va precisato che la riduzione volontaria del capitale è esclusa o limitata se la società ha emesso:

  • obbligazioni ordinarie: in tale ipotesi, la procedura è ammessa solo in proporzione alle obbligazioni rimborsate (art. 2413, c. 1, c.c.);

  • obbligazioni convertibili in azioni: in tale ipotesi, la società non può deliberare la riduzione del capitale finché gli obbligazionisti non abbiano esercitato il diritto di conversione (art. 2420-bis, c. 4, c.c.).

 

Copertura di perdite e utile di periodo

Se l’operazione di copertura delle perdite è effettuata sulla base di una situazione patrimoniale infrannuale, che oltre alle perdite relative agli esercizi precedenti registri anche un utile di periodo (risultato positivo di esercizio), di esso va tenuto conto nella determinazione delle perdite da coprire.

Ne consegue che, secondo le affermazioni del Notariato Triveneto, la perdita da coprire dovrà corrispondere all’importo delle perdite accumulate nell’esercizio o negli esercizi precedenti, decurtato dell’importo del risultato positivo infrannuale.

La situazione infrannuale deve infatti essere redatta con i criteri ordinariamente seguiti per il bilancio di esercizio, indicando esclusivamente i risultati negativi e positivi effettivamente realizzati.

Secondo il documento in esame, l’esclusione del risultato positivo di periodo condurrebbe a una riduzione del capitale in presenza di una posta attiva, al di fuori delle condizioni poste dall’art. 2445, commi terzo e quarto, c.c., a tutela dei terzi.

Nella sostanza, tale opzione potrebbe vanificare la possibilità, legislativamente prevista a favore dei creditori, di fare opposizione alla delibera: in una simile condizione, essi non sarebbero infatti resi edotti riguardo alla reale situazione delle attività societarie.

Se, quindi, il risultato positivo infra-esercizio fosse di importo tale da coprire tutte le perdite precedenti, non sarebbe possibile procedere alla riduzione del capitale, mentre se fosse di importo tale da ricondurre tali perdite entro il limite del terzo del capitale sociale, la riduzione sarebbe puramente facoltativa.

L’intervento del consiglio notarile di Milano

Un altro organismo rappresentativo della professione notarile, il Consiglio di Milano, ha avuto modo di precisare che nella delibera si può render conto dell’inesistenza di creditori, o del loro preventivo assenso, e l’esecuzione della delibera stessa non può avvenire prima del decorso del termine previsto dall’art. 2482, c.c. (90 giorni dall’iscrizione della delibera), in quanto i creditori legittimati a farvi opposizione sono tutti quelli anteriori all’iscrizione della delibera nel registro imprese, e quindi anche quelli successivi all’assunzione della delibera.

La riduzione volontaria del capitale deve inoltre avvenire nel rispetto del criterio di parità di trattamento dei soci.

 

Riduzione volontaria – efficacia ed eseguibilità

Sulla riduzione volontaria del capitale, i Notai del Triveneto hanno precisato che occorre distinguere tra l’efficacia della delibera e la sua eseguibilità.

Per quanto riguarda l’efficacia, deve essere applicata la disciplina generale di cui all’art. 2436, c. 5, c.c.; la delibera di riduzione volontaria del capitale produrrà quindi i propri effetti immediatamente dopo l’iscrizione nel registro delle imprese.

Relativamente all’eseguibilità della delibera, una volta che la stessa sia divenuta efficace, è invece applicabile la specifica disciplina incardinata nell’art. 2445, c. 3, c.c., in base alla quale la deliberazione può essere eseguita soltanto dopo 90 giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché tale termine non vi siano state opposizioni da parte dei creditori.

Ne consegue che:

  • dopo l’iscrizione nel registro delle imprese della delibera di riduzione volontaria del capitale, la stessa produce tutti i propri effetti;

  • pertanto, il capitale da indicare nello statuto e negli atti della società, e che dovrà risultare anche nel registro delle imprese, dovrà essere il capitale nel suo minor importo, quale risulta dalla riduzione;

  • l’importo della riduzione può essere materialmente distribuito ai soci (o, nel caso in cui vi siano versamenti ancora dovuti, i soci sono definitivamente liberati dal relativo obbligo) solo dopo l’inutile decorso (senza opposizioni) di 90 giorni dalla data di iscrizione della delibera nel registro delle imprese.

L’indicazione del minor capitale negli atti societari vale soprattutto a consentire ai creditori ante-iscrizione di proporre opposizione, oltre che a permettere ai creditori successivi all’iscrizione della delibera di fare affidamento sul minor capitale.

Dal punto di vista contabile, l’importo della riduzione deve essere riportato in un’apposita riserva vincolata, non distribuibile finché non siano trascorsi 90 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese in assenza di opposizione dei creditori ante-iscrizione.

Il fine perseguito dalla norma che consente l’opposizione non è infatti di tutelare i terzi genericamente intesi, affinché la società mantenga un determinato capitale sociale, ma piuttosto di tutelare i creditori ante-iscrizione che hanno fatto affidamento su un determinato capitale sociale, a vedere garantite le proprie ragioni da risorse corrispondenti al capitale originario.

Secondo le indicazioni del Notariato Triveneto, il riferimento all’«esecuzione» – e non all’«efficacia» – della delibera, è quindi inteso a garantire il mantenimento nella società delle risorse su cui avevano fatto affidamento i creditori ante-iscrizione, finché non sia scaduto il termine concesso per l’opposizione, e non ad attribuire impropriamente a tali creditori un diritto di intervento sulla struttura societaria, sospendendo gli effetti di una delibera legittimamente adottata dai soci.

Insomma, la manifestazione della volontà societaria attraverso la deliberazione dell’assemblea rimane efficace, ma – in caso di opposizione – non eseguibile (salvo che il Tribunale non decida di dare comunque esecuzione alla stessa).

 

Riduzione volontaria – modalità attuative

L’attuazione della riduzione del capitale può avvenire, oltre che mediante il rimborso ai soci, o la loro liberazione dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, anche mediante l’imputazione a un’apposita riserva dell’importo della riduzione.

Anche in tale ipotesi, segnalata dal Notariato Triveneto, sono applicabili le garanzie di cui all’art. 2445, commi 3 e 4, c.c.

La riserva a cui è stato imputato l’importo della riduzione deve considerarsi vincolata e non distribuibile finché non siano trascorsi 90 giorni dalla data di iscrizione al registro imprese della delibera, in assenza di opposizione da parte dei soci.

 

Azioni proprie e riduzione del capitale (effetti fiscali)

Alle S.p.a. non è consentito di detenere azioni proprie in portafoglio, se non nella misura consentita dal Codice civile e a fronte della costituzione di una riserva di patrimonio netto (artt. 2357-ter, terzo comma, e 2424, c.c.; voce A-VI del passivo nello schema di Stato patrimoniale di cui all’art. 2424, c.c.).

Il carattere anomalo del possesso di azioni proprie da parte della S.p.a. fa sorgere l’obbligo di «eliminazione» delle stesse, in quanto eccedenti una determinata soglia dimensionale, attraverso una serie di comportamenti, espressamente previsti dalle norme o generalmente consentiti nella prassi applicativa.

Secondo quanto affermato dall’amministrazione finanziaria nella R.M. 20.4.1979, prot. n. 576, alla riduzione del capitale di una S.p.a. mediante l’acquisto e il successivo annullamento di azioni proprie conseguono effetti reddituali, in quanto l’eventuale differenza in più o in meno tra il costo delle azioni annullate e il valore del patrimonio netto ad esse riferibile costituisce, rispettivamente, sopravvenienza passiva o sopravvenienza attiva conseguente all’operazione di riduzione del capitale sociale.

Evidentemente, tale risposta può appunto intendersi riferita al solo caso dell’acquisto presso terzi e a titolo oneroso delle azioni proprie, mentre nei casi di acquisto speciale ex art. 2357–bis, c.c. , occorrerebbe esaminare più dettagliatamente la fattispecie.

Se la S.p.a. acquista da propri soci le azioni proprie (come nel caso considerato dalla predetta risoluzione del 1979), può forse ipotizzarsi un’operazione di distribuzione di utili “dissimulata”, in misura pari al maggiore importo del prezzo della compravendita rispetto a quello che per il socio si considera fiscalmente apporto di capitale, analogamente a quanto si verifica nel caso di recesso del socio.

In particolare, l’acquisto delle azioni proprie:

  • se effettuato solo nei confronti di alcuni soci, avrebbe carattere esclusivamente permutativo;

  • se effettuato nei confronti di tutti i soci, mantenendo invariata, alla fine dell’operazione, la porzione di capitale detenuta da ciascun socio, si presterebbe a dissimulare una distribuzione di utili: in tale evenienza, infatti, vi sarebbe una diminuzione delle riserve della società, con proporzionale arricchimento dei soci.

Da un altro punto di vista, le erogazioni fatte dalla società a fronte del trasferimento in suo favore della proprietà delle azioni non andrebbero però qualificate come rimborso di capitale o distribuzione di utili: il capitale rimane infatti integro e immutato, mentre gli utili e le riserve a fronte dei quali l’acquisto è effettuato permangono nella società, anche se sono resi indisponibili. Una volta che le azioni sono state alienate o annullate e sia così cessato il vincolo di indisponibilità, la riserva ex art. 2357-ter, c.c., potrebbe essere liberamente distribuita .

Secondo una posizione a suo tempo espressa dal Se.C.I.T.2, la vendita alla società emittente comporta per il socio venditore il realizzo, sotto forma di prezzo di compravendita, del capitale investito e, per l’eventuale eccedenza, di utili imponibili .

 

Le conseguenze per i soci della riduzione del capitale

Secondo l’art. 47, c. 6, del TUIR non costituisce realizzo di utili l’assegnazione gratuita ai soci di nuove azioni e l’aumento gratuito del valore nominale delle azioni o quote già emesse, in caso di aumento del capitale sociale mediante passaggio di riserve o altri fondi a capitale.

Se e nella misura in cui l’aumento sia però avvenuto mediante passaggio a capitale di riserve o fondi diversi da quelli costituiti con sopraprezzi di emissione delle azioni o quote, con interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote, con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta, la successiva riduzione del capitale esuberante è considerata distribuzione di utili.

Secondo il successivo settimo comma, le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, esclusione, riscatto, riduzione del capitale esuberante e liquidazione anche concorsuale della società costituiscono utile (con applicazione, per le persone fisiche, della relativa ritenuta alla fonte), per la parte eccedente il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.

Va tenuto presente che, come evidenziato nella circolare 16.6.2004 dell’Agenzia delle Entrate n. 26/E:

per i soci soggetti IRPEF imprenditori, l’utile percepito concorre all’imponibile nella misura del 49,72% (già 40%) dell’ammontare;

  • per i soci soggetti IRPEF non imprenditori, le regole da seguire sono quelle degli utili di capitale, con la soggezione a ritenuta a titolo di imposta del 20%3 (già 12,50%) se la partecipazione è non qualificata, ovvero, se quest’ultima è “qualificata”, con il concorso al reddito per il 49,72% dell’ammontare;

  • per i soci soggetti IRES, lo stesso utile concorre all’imponibile nella misura del 5%.

Occorre però tener presente che, se il socio IRES è un soggetto IAS adopter, la tassazione avviene sull’intero ammontare dell’utile percepito (art. 89, comma 2-bis, TUIR).

Coordinando le disposizioni normative degli att. 89 e 87, settimo comma, del TUIR, si comprende che è esente da imposizione soltanto la quota parte della somma ricevuta in occasione della ripartizione del capitale e di riserve di capitale che eccede il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione, mentre la quota parte corrispondente all’utile da partecipazione rimane assoggettata a tassazione secondo le modalità previste per i dividendi.

Per le partecipazioni non qualificate per l’esenzione, cioè prive dei requisiti necessari per l’applicazione della pex, la differenza concorre alla formazione del reddito imponibile nel suo intero ammontare.

In definitiva: sia per i soggetti IRPEF imprenditori che per i soggetti IRES:

  • la quota corrispondente all’utile di partecipazione (non eccedente il valore fiscale) è tassata alla stregua di un utile;

  • la quota eccedente, è tassata (ovvero esentata, se sussistono i requisiti) alla stregua di una plusvalenza.

 

La riduzione del capitale delle nuove Srl

In linea generale, allo stato, l’ammontare del capitale della S.r.l. può essere determinato in misura inferiore a euro diecimila, pari almeno a un euro. In tal caso i conferimenti devono farsi in denaro e devono essere versati per intero alle persone cui è affidata l’amministrazione.

Questa possibilità è stata introdotta dall’art. 9, comma 15-ter, del D.L. 28.6.2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9.8.2013, n. 99 (attraverso l’inserimento del nuovo quinto comma nell’art. 2463 c.c.).

Rispetto agli obblighi e alle cautele che assistono la tipica ipotesi di riduzione del capitale societario, di fronte alle nuove tipologie sopra descritte si registra la posizione innovativa del Consiglio Nazionale del Notariato, il quale nello studio n. 892-2013/I, approvato il 14.11.2013, ha osservato quanto segue:

  • le società che hanno un capitale pari o superiore a 10.000 euro e che vedono le perdite superiori al terzo intaccare tale limite minimo, pur essendo obbligate a convocare l’assemblea dei soci per i necessari interventi da intraprendere sul capitale, possono non ripristinare il capitale al precedente livello di 10.000 euro, ma fermarsi a un ammontare inferiore, posto tra 1 e 9.999 euro;

  • ciò a condizione che il reintegro di mezzi finanziari venga interamente versato e con obbligo di accantonare la riserva legale secondo le nuove regole recentemente introdotte nell’art. 2463, quinto comma, del codice civile.

Se quindi una società con capitale di 10.000 euro, ha registrato una perdita in conseguenza della quale il capitale sia stato ridotto al di sotto di tale importo, essa può fissare quest’ultimo come suo nuovo limite statutario.

Se invece, sempre in conseguenza di perdite, il capitale venisse integralmente azzerato, la società potrebbe limitarsi a ripianare la perdita riportando, con specifica delibera, il capitale anche al limite minimo di un euro previsto dalla nuova norma, ovvero a un valore superiore a tale limite.

 

26 maggio 2014

Fabio Carrirolo

 

1 Gli orientamenti dei Notai del Triveneto in materia societaria sono il frutto di un’evoluzione cui periodicamente sono sottoposte le posizioni precedentemente espresse, e sono resi disponibili sul sito internet http://www.notaitriveneto.it.

2 Il SECIT (Servizio Centrale degli Ispettori Tributari), istituito con L. n. 146/1980 con compiti di controllo e di studio dei fenomeni fiscali, è stato successivamente ridenominato Servizio consultivo ed ispettivo tributario e quindi infine inglobato dal dipartimento delle Finanze presso il ministero dell’Economia e delle Finanze.

3 Le aliquote di tassazione, sia a titolo di ritenuta alla fonte che di imposta sostitutiva, applicabili ai redditi e alle plusvalenze che vengono generati da fonti e impieghi di tipo finanziario, sono state unificate dal D.L. 13.8.2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 14.9.2011, n. 148. L’intervento normativo ha comportato la sostituzione delle previgenti aliquote del 12,50% e del 27 con la nuova aliquota del 20%.

È attualmente in itinere un prossimo intervento del Governo sull’aliquota impositiva sulle rendite finanziarie, che dovrebbe elevare la tassazione dal 20% al 26%. L’intervento, che necessariamente riguarderebbe anche i proventi generati dai contratti qui esaminati (con apporto di capitale o misto) dovrebbe essere contenuto in un provvedimento di prossima emanazione, è stato anticipato nel Consiglio dei Ministri dell’8.4.2014.