IRAP: il caso dello studio associato

in periodo di dichiarazioni dei redditi si scatena sempre il problema della debenza o meno dell’IRAP per i professionisti: analizziamo le problematiche che riguardano gli studi professionali associati

Con l’ordinanza n.4663 del 27 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha affermato che “la presuntio hominis secondo cui la sussistenza di uno studio associato costituisce indizio della esistenza di una stabile organizzazione ai fini IRAP costituisce, appunto, una presunzione che può essere superata con adeguata motivazione; così come accaduto nel caso di specie in cui il giudice di merito ha evidenziato la assenza di spese per personale dipendente e la non sussistenza di una autonoma organizzazione”.

La Corte richiama la sentenza n. 14060 del 3 agosto 2012: “ove l’attività di un professionista si volga nella forma dello ‘studio associato’ (nel caso di specie con il coniuge, mentre nella attuale controversia i due associati sono padre e figlia) il giudice di merito deve, ai fini della applicazione dell’IRAP accertare specificamente l’entità e l’incidenza a fini reddituali, della condivisione con altri professionisti dello svolgimento di parte della attività professionale dello studio”. Ed ancora a supporto viene richiamata l’ordinanza n. 22506 del 10 dicembre 2012, relativa ad un caso analogo a quello qui affrontato.

Brevi considerazioni

Lo studio associato, pur non configurandosi come un centro unitario di interessi, atteso che ciascun professionista mantiene la sua autonomia, non sempre da luogo ad una struttura organizzata.

Ricordiamo che per gli studi di ingegneria, con ordinanza n. 16337 del 26 luglio 2011 dell’8 giugno 2011, la Corte di Cassazione aveva confermato l’assoggettabilità ad Irap degli studi associati (nel caso di specie di ingegneria), atteso che l’associazione “è uno strumento non solo per consentire il lavoro del professionista ma anche per potenziarne la capacità, e lo studio associato è qualcosa di più rispetto al mero esercizio di attività professionale. Non struttura di mero supporto… ma una struttura organizzata, di cui il professionista si avvantaggia“. La Corte richiama dei precedenti secondo cui: “Qualora il professionista (nella specie, commercialista) sia inserito in uno studio associato, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da quella svolta in forma associata, è tenuto a dimostrare, al fine di sottrarsi all’applicazione dell’Irap, di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire ai suoi aderenti vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta (ad es. le sostituzioni in attività – materiali e professionali – da parte di colleghi di studio; l’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni; la possibilità di conferenze e colloqui professionali o altre attività allargate; l’utilizzazione di servizi collettivi e quant’altro caratterizzi l’attività svolta in associazione professionale)” (Cassazione civile, sez. trib., 10 luglio 2008, n. 19138; negli stessi termini anche Cassazione civile, sez. trib., 11 giugno 2007, n. 13570).

Ed ancora, con l’ordinanza n. 20499 del 6 ottobre 2011 (ud. del 5 luglio 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che l’esercizio della professione liberale in forma associata costituisce elemento di per sé sufficiente per la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione ai fini dell’applicazione dell’Irap: “va ulteriormente ribadito che l’esercizio in forma liberale di un’attività associata costituisce una circostanza di per sè idonea a far presumere l’esistenza – ai fini dell’applicabilità dell’IRAP – di un’autonoma organizzazione, presupposto essenziale dell’imposta, ed a far escludere – in difetto, come nel caso di specie, di elementi di prova di segno contrario – che il reddito sia prodotto esclusivamente per effetto della professionalità del singolo collaboratore”.

Sul punto, con ordinanza n. 18704 del 13 agosto 2010 (ud. del 9 giugno 2010), la Corte di Cassazione aveva già ritenuto che In tema di IRAP, questa Corte ha affermato che, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1 (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003) e all’art. 53, comma 1, del medesimo D.P.R. (nella versione vigente dal 1 gennaio 2004) è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata”.

Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

E l’associazione è già di per sé struttura organizzata, indipendentemente dalla presenza di mezzi di particolare valore economico, poiché essa permette una reciproca forma di collaborazione e sostituibilità.

Si pensi, ad esempio, agli studi associati fra avvocati, che nati magari per suddividere i costi, permettono degli scambi professionali.

In pratica, salvo che i contribuenti associati non riescano a dimostrare la propria autonomia (resta fermo, infatti, che “costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. n. 3676/07 ed altre)”, e questo può accadere, per esempio, quando gli associati svolgono attività professionali diverse e distinte, lo studio associato è soggetto ad Irap.

Principi peraltro espressi dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 22386 del 3 novembre 2010 (ud. del 7 luglio 2010). Per la Corte, “l’esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sè idonea a far presumere l’esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorchè non di particolare onere economico, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, con la conseguenza che legittimamente il reddito di uno studio associato viene assoggettato all’imposta regionale sulle attività produttive, a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati (v. cass. n. 24058/2009)”.Osserva la Cassazione che, “i giudici della C.T.R. avrebbero dovuto pertanto adeguatamente considerare ai fini de quo la natura associata dell’esercizio dell’attività professionale, comportante l’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, nonchè l’esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorchè non di particolare onere economico, ed avrebbero pertanto potuto escludere l’assoggettabilità ad Irap soltanto nel caso in cui il contribuente avesse fornito la prova che il reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati. Nella specie, invece, i giudici d’appello, non solo non hanno considerato la forma associata dell’attività professionale e le deduzioni in proposito dell’Ufficio, ma neppure hanno specificamente indicato ed esaminato le eventuali prove offerte dai contribuenti, limitandosi a rilevare genericamente che agli atti non risultava la sussistenza di autonoma organizzazione, posto che i beni utilizzati erano quelli necessari all’esercizio dell’attività e che nella specie non era configurabile l’esistenza di una organizzazione autonoma funzionante in maniera indipendente dall’intervento dei professionisti associati (circostanza, quest’ultima, neppure rilevante ai fini della valutazione della sussistenza o meno della autonoma organizzazione, come correttamente rilevato dalla ricorrente nel secondo motivo, v. in proposito Cass. n. 3678/2007”.

Eribaditi con ordinanza n. 11933 del 30 maggio 2011 (ud. del 4 maggio 2011) dove la Corte di Cassazione, afferma che l’esercizio delle attività di lavoro autonomo è escluso dall’applicazione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata; il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui“. (Cass. nn. 3680/2007, 3678/2007, 3676/2007, 3672/2007)”. Nel caso specifico, “a) nessun concreto elemento viene indicato, idoneo ad escludere l’esistenza di una autonoma organizzazione, nel caso di che trattasi, di uno studio associato di professionisti, malgrado la peculiarità della considerata forma associativa, trovi, normalmente, la propria ragion d’essere nel conseguimento di benefici, non fruibili in ipotesi di svolgimento della professione esclusivamente personale, strettamente connessi al vincolo contratto con terzi; b) nessun dato concreto viene offerto per dare contezza dell’affermazione secondo cui i ‘costi per collaboratori’ sarebbero ‘inesistenti in alcuni esercizi e modesti in altri’, nonostante, alla stregua dei richiamati principi, l’impiego di personale dipendente e/o di collaboratori sia normalmente rilevante agli effetti di che trattasi e, d’altronde, la circostanza che il relativo utilizzo non sia avvenuto in tutti gli esercizi, non esonerava dal motivare, in base a quali elementi e considerazioni, per gli altri esercizi, l’effettivo impiego doveva, egualmente, essere ritenuto irrilevante”.

Ed ancora con ordinanza n. 20018 del 30 settembre 2011 (ud. del 14 luglio 2011) la Corte di Cassazione ha confermato l’assoggettamento ad Irap degli studi associati. Infatti, la partecipazione ad un’associazione professionale costituisce circostanza idonea a far presumere la sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione ai fini dell’applicazione dell’Irap, fatta salva per il contribuente richiedente il rimborso di allegare elementi o prove contrarie.Per la Cassazione, chiamata a decidere definitivamente la questione, “l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, postula che l’attività abituale ed autonoma del contribuente si avvalga di un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la sua capacità produttiva; non è invece necessario che la struttura organizzata sia in grado di funzionare in assenza del titolare (Cass. n. 5011/2007)”.Inoltre, osserva la Corte, l’impiego di beni strumentali che costituiscono minimo indispensabile per un’attività organizzata, non risulta accertato dalla sentenza impugnata, la quale ha viceversa ritenuto il contrario, in specie in relazione all’inserimento della attività della contribuente in una struttura associativa di professionisti. E comunque, è “pacifico che spetta al contribuente di dimostrare le condizioni di accoglimento delle domande di rimborso (e quindi – in materia di Irap – la prova della inesistenza di elementi di organizzazione eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività professionale (Cass. nn. 13056/2004, 11682/2007, 6021/2009, 10797/2010). Poichè non risultano allegazioni e prove contrarie, non è dunque censurabile la decisione della CTR che ha ritenuto che le condizioni di esercizio dell’attività professionale risultanti alla data del ricorso sussistessero anche negli anni precedenti, cui era riferita l’istanza di rimborso”.

E ancora con l’Ordinanza n. 23002 del 4 novembre 2011 (ud. 22 settembre 2011) la Corte di Cassazione così scrive: questa Corte ha già affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre, oltre che in caso di impiego da parte di beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, anche quando il contribuente si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass., Sez. un., n. 12108 del 2009); la sentenza non da conto della mancata valutazione dei compensi in favore di terzi, quali risultanti dal quadro RE delle dichiarazioni del contribuente relative agli anni d’imposta, e trascritti in sede di ricorso”.Inoltre, “l’esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sè idonea a far presumere l’esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorchè non di particolare onere economico, nonchè dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, si da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio (Cass. n. 1370/2007; n. 17136/2008; n. 24058/2009)”.

Mentre, con l’ordinanza n.22506 del 10 dicembre 2012, la Corte di Cassazione ha affermato che “la presuntione hominis secondo cui la sussistenza di uno studio associato costituisce indizio della esistenza di una stabile organizzazione ai fini IRAP costituisce, appunto, una presunzione che può essere superata con adeguata motivazione; così come accaduto nel caso di specie in cui il giudice di merito ha evidenziato la assenza di personale dipendente e la esiguità delle spese per beni strumentali”.

E con la sentenza n. 12507 del 22 maggio 2013 la Corte di Cassazione torna ad affrontare la problematica dell’Irap degli studi associati (nel caso di specie, commercialisti). La Corte fa suo il principio ormai consolidato, secondo cui “l’esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sè idonea a far presumere l’esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di particolare onere economico, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, si da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato al1‘imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati (Cass. 3676 e 3680/2007; Cass. 24058/2009; Cass. 16784/2010 e Cass. 14853/2012)”.

19 maggio 2014

Francesco Buetto