Studi di settore e nuovi parametri forensi

l’approvazione delle nuove tariffe forensi può avere un effetto sugli studi di settore da utilizzare in Unico 2015 per l’anno d’imposta 2014

Sono entrati in vigore dal 3 aprile 2014 i nuovi parametri forensi.

Il decreto 10 marzo 2014, n. 55 del Ministero della Giustizia (“Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense”) è stato, infatti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 77 del 2 aprile 2014 con decorrenza praticamente immediata.

Il nuovo “decreto parametri” sostituisce il D.M. n. 140/2012 che si occupava, più in generale, dei compensi dei professionisti.

In sintesi il decreto si compone di una parte normativa e di una parte parametrica, formata da 26 tabelle che coprono i vari tipi giudizio e di una tabella per l’attività stragiudiziale.

Ciascuna tabella è divisa poi nelle fasi principali di ciascun procedimento.

Gli scaglioni di valore, diversamente dal D.M. n. 140/2012, sono corrispondenti a quelli previsti dal Ministero della Giustizia per la determinazione del contributo unificato, con una semplificazione evidente per gli operatori. Ciascuna tabella parametrica è poi divisa per fasi (da quella di studio a quella decisionale). All’interno i parametri sono indicati con una somma fissa che il giudice potrà innalzare fino all’80% o ridurre fino al 50% motivando lo scostamento.

Orbene, occorre sottolineare che, se da un lato il nuovo decreto introduce un sistema caratterizzato da trasparenza, libertà, semplicità, chiarezza ponendosi nella direzione auspicata da tutti, di favorire la ripresa del Paese, dall’altro lato, proprio alla luce di tali nuovi parametri forensi, ed oltretutto in un contesto di attuale crisi economica, sarebbe opportuno che gli studi di settore per gli avvocati venissero revisionati “al ribasso”, in quanto quelli che oggi si vogliono applicare fanno riferimento alle vecchie tariffe.

Veniamo, dunque, agli studi di settore e cominceremo a comprendere di quanta importanza rivesta oggi la corretta applicazione di essi.

 

ORIGINE ED EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE.

Gli studi di settore sono uno strumento di ausilio per l’Amministrazione Finanziaria con il quale, mediante l’utilizzo di funzioni e strumenti statistici e di un apposito software, Ge.Ri.Co. (Gestione dei Ricavi e dei Compensi), vengono ricostruiti induttivamente i ricavi ed i compensi ritenuti “normali” degli esercenti attività d’impresa e degli esercenti arti o professioni.

La elaborazione degli studi di settore rispondeva alla emergente esigenza da parte dell’Amministrazione Finanziaria di fronteggiare una sempre maggiore complessità del sistema economico e, quindi, di far fronte alla difficoltà crescente di svolgimento in modo puntuale della propria attività di controllo.

Per questo motivo è stato creato lo strumento degli studi di settore, che altro non è se non una elaborazione di funzioni matematiche e statistiche mediante le quali, utilizzando le informazioni riguardanti un determinato contribuente – derivanti dalle proprie dichiarazioni o da informazioni già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria – si riesce a calcolare la potenzialità di ricavi o compensi della particolare attività svolta e, quindi, il ricavo o il compenso c.d. “normale”.

All’esigenza di introdurre uno strumento matematico-statistico per contrastare l’evasione, soprattutto nei confronti dei lavoratori autonomi e delle piccole-medie imprese, palesemente emersa molto tempo prima rispetto agli studi di settore, si era già fatto fronte mediante i coefficienti presuntivi di reddito, i parametri presuntivi di ricavi e compensi. Tali strumenti, ritenuti gli antenati degli studi di settore, non riuscivano a fornire tuttavia dei risultati che fossero sufficientemente attendibili.

 

NORMATIVA.

La fonte normativa degli studi di settore va ricercata negli articoli 62-bis e 62-sexies, comma 3, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427).

L’articolo 62-bis, in particolare, ha previsto l’elaborazione degli studi di settore in relazione ai vari settori economici di esercizio delle attività imprenditoriali e professionali “al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice”. Ai sensi dell’articolo in esame, gli studi sono strumenti elaborati dall’Amministrazione finanziaria, sentite le associazioni professionali e di categoria, secondo una procedura così articolata:

-identificazione di “campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori”, che presentano, cioè, caratteristiche aziendali simili;

-controllo di questi campioni “allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata”.

L’ultimo periodo dell’art. 62-bis stabilisce, infine: “Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995”.

L’art. 62-sexies, comma 3, dello stesso decreto, che rappresenta la norma di riferimento in tema di accertamento da studi di settore, stabilisce, invece, che gli accertamenti (analitici -induttivi) di cui agli artt. 39, co. 1, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in tema di imposte dirette) e 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (in tema di IVA) “possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore”.

 

D.L. 30/08/1993, n. 331 – Art. 62-bis (Studi di settore)

1. Gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle Finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 1995, in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all’art. 11 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154 e successive modificazioni. A tal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata. Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995”.

Art. 62-sexies, comma 3 (Attività di accertamento nei riguardi dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili)

3.“Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d ), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62- bis del presente decreto”.

 

Dunque, l’introduzione degli studi di settore è avvenuta con l’art. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, mentre le modalità di attuazione sono state definite solo nel 1998, con l’art. 10 della Legge 8 maggio 1998, n. 146. Essi sono soggetti a revisione al massimo ogni tre anni dalla data di entrata in vigore dello studio di settore ovvero da quella dell’ultima revisione.

Di fatto, detti studi sono continuamente arricchiti al fine di ricomprendere sempre nuove aree all’interno dei classici settori di attività (servizi, commercio, manifatture, professionisti) ed affinati nella loro struttura compositiva mediante l’utilizzo di elementi sia contabili sia extracontabili. Dovrebbero tener conto anche della situazione contabile economica generale.

Gli studi di settore trovano applicazione nei confronti dei contribuenti che svolgono in maniera prevalente una delle attività economiche (d’impresa o di arti e professioni) per le quali risulta approvato il relativo studio di settore, indipendentemente dal regime di contabilità adottato.

Tali soggetti devono provvedere alla compilazione degli appositi modelli, con l’indicazione dei dati contabili ed extracontabili rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore.

 

GE.RI.CO.

L’applicazione dello studio di settore è effettuata tramite il software  GE.RI.CO. (Gestione Ricavi e Compensi) il quale, oltre a predisporre il file  telematico da allegare al modello UNICO, indica il posizionamento del contribuente rispetto allo studio di settore applicato. In particolare, il software , sulla base dei dati inseriti, evidenzia, tra l’altro, il risultato:

dell’analisi di coerenza. Gli indici di coerenza confrontano una serie di dati forniti dal contribuente con quelli statisticamente ritenuti corretti a seconda della categoria di appartenenza del contribuente. Generalmente è previsto un minimo e un massimo. L’eventuale anomalia può essere utilizzata per la selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo;

dell’analisi di normalità economica. Gli indicatori di normalità economica sono atti ad individuare sia quando il contribuente sta conducendo la propria attività in condizioni statisticamente ritenute non normali, sia errori commessi nella fase di compilazione dello studio. Anche in questo caso esistono dei minimi e dei massimi. L’elemento che si colloca al di sotto e/o al di sopra di questi è considerato “non normale”;

dell’analisi di congruità. L’indice di congruità tende a stimare i ricavi presunti indicando quello “puntuale” ossia lo stimato più probabile ed il “minimo”. Il contribuente è congruo quando i ricavi dichiarati sono uguali o superiori al “puntuale”.

Gli studi di settore non trovano applicazione in alcune situazioni specifiche:

  • quando i ricavi della gestione propria delle società e degli enti commerciali residenti o i compensi di lavoro autonomo risultino superiori ai limiti massimi fissati per ciascuno studio;

  • quando l’attività sia iniziata o cessata nel corso del periodo d’imposta;

  • quando il contribuente si trovi in un periodo di non normale svolgimento della propria attività.

 

NATURA DEGLI STUDI DI SETTORE. RICONOSCIMENTO DELLA NATURA DI PRESUNZIONE SEMPLICE.

La Corte di Cassazione, SS. UU., con la sentenza n. 26635 del 18 dicembre 2009, in merito alla natura delle risultanze degli studi di settore, ha stabilito che queste debbano essere considerate presunzioni semplici e non presunzioni legali relative.

In particolare, la Suprema Corte, con la suddetta sentenza, dichiara il seguente principio di diritto: “La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito ai contraddittori da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento”.

Il contribuente “non può, tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento”.

L’esito del contraddittorio, “essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.

In questo quadro, la natura giuridica degli studi di settore assume il carattere di “catalogo di presunzioni semplici, da armonizzare con tutti gli altri elementi a disposizione per la ricostruzione della situazione economica del contribuente”.

Il principio innanzi enunciato risulta costante nell’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, la quale, già con sentenze rispettivamente adottate in data 28 luglio 2006 n. 17229 e 24 luglio 2009 n. 244, aveva non solo valorizzato la necessità di adeguare l’accertamento alla realtà del singolo caso e l’idoneità allo scopo del contraddittorio, ma aveva anche colto nel contraddittorio stesso la dimensione di attuazione dell’interesse del privato.

E’ stato affermato, infatti, che la omissione del contraddittorio amministrativo determina la illegittimità stessa dell’accertamento, per evidente contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, nonché con il diritto di difesa del contribuente.

 

CONCLUSIONI.

In conclusione, fermo restando che la normativa degli studi di settore è chiara, nel senso che trattasi di presunzioni semplici con obbligo di motivazione a carico soltanto degli uffici e senza alcuna inversione dell’onere della prova a danno del contribuente, è utile rimarcare che, alla luce di tali nuovi parametri forensi, ed oltretutto in un contesto di attuale crisi economica, sarebbe opportuno che gli studi di settore per gli avvocati venissero revisionati “al ribasso”, in quanto quelli che oggi si vogliono applicare fanno riferimento alle vecchie tariffe e non riescono a fotografare a pieno la realtà di oggi.

Sarebbe, inoltre, appropriato considerare lo strumento degli studi di settore non come predeterminazione presuntiva del reddito, ma come semplice imput o ausilio per la selezione di controlli e verifiche, senza alcuna influenza, neppure come presunzione semplice, in tema di accertamento. Il reddito, infatti,non può mai essere predeterminato, essendo molteplici le variabili personali, economiche e territoriali, ma può e deve essere provato con gli strumenti invasivi già oggi esistenti (come per esempio le indagini bancarie e finanziarie).

 

7 aprile 2014

Maurizio Villani

Idalisa Lamorgese