Nuove rendite catastali: il Comune deve verificare la nuova trasformazione subita

se il Comune intende modificare la rendita catastale di un immobile, non può effettuare la riclassificazione senza verificare le modifiche subite dall’immobile di cui si vuole aumentare la rendita

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2357 del 3 febbraio 2014, seguendo un precedente orientamento, respinge quelle procedure comunali che riclassificano le abitazioni senza che sia verificata la loro reale trasformazione subita.

Il tema dell’adeguata motivazione degli atti amministrativi è sempre di grande attualità. Accade spesso che gli avvisi di accertamento, di liquidazione o le cartelle di pagamento, contengano formule standardizzate che non assolvono alla funzione di illustrare in modo puntuale l’iter logico argomentativo alla base della richiesta di pagamento erariale.

Il caso

Nel caso della sentenza oggetto del presente commento, un contribuente è ricorso in Cassazione avverso la sentenza sfavorevole della Commissione Tributaria Regionale che aveva accolto l’appello dell’Agenzia del Territorio.

I giudici del merito di secondo grado avevano confermato la correttezza dell’avviso di classamento di unità immobiliare urbana, recante l’aumento della rendita catastale, emesso dall’Agenzia del Territorio.

La motivazione della decisione dei giudici del merito è da ricercare nel fatto che è da ritenere esente da vizi l’atto di classamento, sia:

  1. per quanto riguarda la censurata carenza di motivazione;

  2. per ciò che concerne il mancato rispetto dell’onere probatorio a carico dell’Ufficio.

In specie, per quanto riguarda la denunciata carenza di motivazione, doveva farsi applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, l’obbligo di motivazione dell’avviso, è rispettato quando l’atto vale a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa; di conseguenza è necessario, e sufficiente, che l’avviso indichi il maggior valore accertato, con riserva alla fase contenziosa dell’onere dell’Ufficio di provare gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa.

Un precedente orientamento

Prima di procedere all’analisi della Cassazione si ritiene utile un cenno all’ordinanza, sempre della Suprema Corte, n.21118 del 16 settembre 2013; in quell’occasione l’Agenzia del Territorio, sollecitata dal Comune , aveva variato il classamento di un immobile del contribuente. Dopo aver perso nei primi due gradi di giudizio, la Pubblica Amministrazione ha proposto ricorso per Cassazione. I giudici di legittimità, nel caso in esame, hanno rigettato le doglianze dell’Agenzia del Territorio. Nel caso affrontato, la Corte di Cassazione definisce la motivazione del ricorso dell’Agenzia del Territorio “meramente apparente ed apodittica”, in quanto “non si specifica neppure in quale delle … ipotesi indicate si collochi la pretesa tributaria”. Per i giudici della Corte di Cassazione in tali casi l’atto dell’Agenzia del Territorio deve essere annullato.

Il ricorso del contribuente

Il ricorso del contribuente, centrato sulla violazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, c. 58, prevede in particolare che il processo di riclassamento prende avvio su richiesta del Comune, per le microzone individuate con apposito procedimento, previa verifica dell’esistenza dei presupposti da parte dell’Agenzia; è da censurare la decisione, tra l’altro, per avere erroneamente omesso di considerare che “l’attribuzione della nuova rendita è astratta e fondata su mera ipotesi dell’Ufficio: troppo generici i parametri enunciati, comprese le infrastrutture, enfatizzate troppo ed anche impropriamente“; è stato omesso, inoltre, di considerare che manca ogni indicazione concreta sulla qualità e sullo stato degli immobili oggetto della variazione e dei luoghi circostanti l’immobile accertato.

Va ricordato che il citato comma 58, dell’articolo 3, della legge n.662/1996, afferma che “Gli uffici tributari dei comuni partecipano alla ordinaria attività di accertamento fiscale in collaborazione con le strutture dell’amministrazione finanziaria. Partecipano altresì all’elaborazione dei dati fiscali risultanti da operazioni di verifica. Il Comune chiede all’Ufficio tecnico erariale la classificazione di immobili il cui classamento risulti non aggiornato ovvero palesemente non congruo rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche. L’Ufficio tecnico erariale procede prioritariamente alle operazioni di verifica degli immobili segnalati dal Comune”.

L’attività di accertamento dei Comuni

La partecipazione dei Comuni all’accertamento risale addirittura dalla riforma tributaria degli anni settanta. Il legislatore, infatti, era consapevole che la maggiore conoscenza del territorio da parte dei municipi potesse concorrere a far luce più agevolmente sulla effettiva capacità contributiva dei propri cittadini. Questa scelta legislativa, come è noto, maturava in occasione della centralizzazione dei poteri fiscali a beneficio dello Stato, che prevedeva la soppressione della maggior parte dei tributi locali ed un modello di finanziamento degli enti locali basato sulla cosiddetta finanza derivata. La fiscalità locale si riduceva a pochi tributi (TARSU, Tosap, imposta di pubblicità) dallo scarso gettito, almeno fino ai primi anni novanta, allorquando nel nuovo sistema della finanza territoriale entrerà a far parte l’imposta comunale sugli immobili.

L’esigenza di rafforzare il contrasto all’evasione fiscale, resa maggiormente incisiva dal peggioramento dei conti pubblici, ha spinto nuovamente il legislatore a porre mano all’istituto della partecipazione dei Comuni all’accertamento tributario, con lo scopo di renderlo uno strumento pienamente operativo e più incisivo. Tale finalità è stata perseguita con l’introduzione dell’art. 18, D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010, rubricato “Partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario e contributivo”, che ha apportato sostanziali modifiche sia all’art. 1 del D.L. n. 203/2005, sia agli artt. 44 e 45 del D.P.R. n. 600/1973, costituenti la normativa di riferimento nel sistema della previgente disciplina.

Per quanto attiene all’art. 1, D.L. n. 203/2005, il citato art. 18 del D.L. n. 78/2010 è intervenuto sostanzialmente per:

  • introdurre l’obbligo (precedentemente solo facoltà) per i comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti di costituire, con regolamento del consiglio comunale, entro novanta giorni, il Consiglio tributario (norma poi abrogata) ovvero, per i Comuni con popolazione inferiore a detto limite, l’obbligo di riunirsi in Consorzio, ai fini della successiva istituzione del medesimo, a cui spetta il compito di segnalare all’Agenzia delle Entrate, alla Guardia di finanza e all’Inps gli elementi utili per integrare quanto dichiarato dai contribuenti al fine di far emergere maggiori imponibili fiscali e contributivi;

  • ampliare la sfera di azione antievasione estendendo le segnalazioni oltre alle imposte anche ai contributi previdenziali, quindi includendo in essa il contrasto al lavoro sommerso;

  • incrementare il premio incentivante spettante ai comuni, che viene aumentato dal 30% al 33% delle riscossioni a titolo definitivo delle maggiori imposte che i detti enti hanno concorso ad accertare, anche relativamente alle attività di vigilanza espletate dai Comuni nei confronti delle persone fisiche che hanno chiesto l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero a decorrere dal 1° gennaio 2006, ai sensi dell’art. 83, c. 17, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112;

  • disciplinare ed estendere le modalità di accesso dei comuni alle banche dati dell’amministrazione finanziaria e dell’Inps;

  • rendere attiva e consapevole la modalità di partecipazione dei comuni all’accertamento sintetico del reddito delle persone fisiche;

  • favorire, tramite la partecipazione dei comuni all’accertamento tributario, un incremento sia delle imposte accertate sia delle somme riscosse;

  • individuare le modalità tecniche di accesso alle banche dati sia fiscali che contributive, in virtù della collaborazione prestata a tal fine dall’Agenzia delle Entrate e dall’Inps;

  • abrogare il disposto in base alla quale il Dipartimento delle finanze era tenuto a fornire, con cadenza semestrale, l’elenco delle iscrizioni a ruolo delle somme derivanti dagli accertamenti a cui i Comuni hanno contribuito.

Persistendo le criticità della finanza pubblica, con la seconda manovra finanziaria estiva sancita dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, l’art. 1, cc. 12-bis – 12-quater, il legislatore ha nuovamente rilanciato il ruolo dei comuni nell’attività di contrasto all’evasione fiscale, con lo scopo di rafforzarne il ruolo e il contributo ai fini del recupero delle maggiori imposte evase. La norma in esame attribuisce ai comuni poteri e responsabilità più ampi in campo fiscale, con il vincolo di integrale destinazione al loro bilancio del ricavato scaturente dalle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione all’accertamento dei tributi erariali. L’art. 12-bis, pertanto, dispone l’innalzamento, per il triennio 2012-2014, della quota di compartecipazione dei Comuni alle maggiori Entrate derivanti dalla loro partecipazione all’attività di accertamento e controllo sui tributi erariali nella misura del 100%, subordinatamente alla obbligatoria istituzione dei consigli tributari entro il termine del 31 dicembre 2011. Tale quota di compartecipazione, originariamente prevista nella misura del 30%, era stata innalzata al 33%, per effetto del richiamato art. 78 del D.L. n. 78/2010 e, quindi, successivamente ritoccata al rialzo dall’art. 2, c. 10, lett. b, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, che ne aveva incrementato la misura al 50%. Il successivo comma 12-ter, invece, apporta una serie di modifiche all’art. 44 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, volte al rafforzamento degli strumenti a disposizione dei comuni per la partecipazione all’attività di accertamento tributario ed al loro snellimento.

Il comma 12-quater, disposizione conclusiva del complesso delle norme che innovano la disciplina della partecipazione dei comuni all’accertamento dei tributi erariali, subordina l’elevazione della quota percentuale al 100% delle maggiori imposte accertate alla istituzione entro il 31 dicembre 2011, alla nascita dei consigli tributari.

Va , tuttavia , ricordato che l’art. 11, c. 8 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, ha disposto la soppressione dei consigli tributari , abrogando i commi 2, 2-bis e 3 dell’art. 18 del D.L. n. 78/2010 e l’art. 1, c. 12-quater del D.L. n. 138/2011, motivando nella relazione governativa di accompagnamento al decreto che la loro abrogazione non comportava “ripercussioni in termini di contrasto all’evasione e di partecipazione all’accertamento da parte dei comuni”.

La sentenza della Cassazione

Per i giudici di legittimità il ricorso del contribuente merita di essere accolto. La Corte di Cassazione evidenzia che l’Agenzia del Territorio, come risulta dagli atti, ha effettuato il nuovo classamento tenendo conto dei caratteri tipologici e costruttivi specifici dell’immobile, delle sue caratteristiche edilizie e del fabbricato che lo comprende, anche attraverso un dettagliato esame delle mutate capacità reddituali degli immobili ricadenti nella stessa zona aventi analoghe caratteristiche tipologiche, costruttive e funzionali, nonché della qualità urbana ed ambientale del contesto insediativo, che ha subito significativi miglioramenti a seguito dell’incremento delle infrastrutture urbane, riconoscendo però che la motivazione specifica del provvedimento era limitata all’enunciazione dei meri dati catastali.

Per i giudici di legittimità tale motivazione, a differenza di come è stata interpretata dai giudici del merito di secondo grado, appare insufficiente a sorreggere adeguatamente il provvedimento di modifica del classamento.

Seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. sentenza n.9629 del 13 giugno 2012 ) la Cassazione afferma che l’Agenzia del Territorio: “Quando procede all’attribuzione d’ufficio di un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, … deve specificare se tale mutato classamento è dovuto a trasformazioni specifiche subite dalla unità immobiliare in questione; oppure ad una risistemazione dei parametri relativi alla microzona, in cui si colloca l’unità immobiliare. Nel primo caso, l’Agenzia deve indicare le trasformazioni edilizie intervenute. Nel secondo caso, deve indicare l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano; rendendo così possibile la conoscenza dei presupposti del riclassamento da parte del contribuente“.

Per i giudici di legittimità seguendo tale indirizzo giurisprudenziale, il motivo di ricorso appare manifestamente fondato e la sentenza impugnata è meritevole di cassazione.

La Corte di Cassazione provvedendo anche nel merito accoglie il ricorso ed annulla l’avviso di classamento in questione, perché non è rispettoso del principio di diritto non essendoci esigenza di nuovi accertamenti di fatto.

10 aprile 2014

Federico Gavioli