La Consulta salva in parte la mediazione tributaria e produce effetti per i rapporti non esauriti

la tanto attesa sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale incostituzionalità della vecchia normativa sulla mediazione tributaria: ecco un’analisi delle motivazioni della Consulta

Pronuncia: non è legittimo stabilire che si “perda” l’azione in giudizio perché non si è attivata una procedura amministrativa.

Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 17-bis, c. 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo originario, anteriore alla sostituzione dello stesso ad opera dell’art. 1, c. 611, lett. a, n. 1, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014). Il comma 2 dell’articolo 17-bis del decreto legislativo 546/1992 -secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo da parte del contribuente determina l’inammissibilità del ricorso (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) – comportando la perdita del diritto di agire in giudizio e, quindi, l’esclusione della tutela giurisdizionale, si pone in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione La previsione generale secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo da parte del contribuente determina l’inammissibilità del ricorso (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), comportando la perdita del diritto di agire in giudizio e, quindi, l’esclusione della tutela giurisdizionale, si pone in contrasto con il diritto costituzionalmente garantito di agire e resistere in giudizio (art. 24 della Costituzione).Tale assunto è stato statuito dalla recente sentenza n. 98 della Corte costituzionale, depositata il 16 aprile 2014 .

Parziale incostituzionalità

La dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 2 dell’articolo 17-bis, nel testo originario anteriore alla modifica, accoglie i profili di censura sollevati dalla Ctp di Campobasso in relazione alla previsione secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo comporta(va) l’inammissibilità del ricorso. E’ incostituzionale, quindi , la precedente versione della mediazione tributaria nella parte in cui prevedeva, in caso di mancata proposizione, l’inammissibilità del successivo ricorso. E fondata la questione della costituzionalità del comma 2 dell’articolo 17-bis prima delle modifiche entrate in vigore lo scorso 2 marzo 2014 nella parte in cui era prevista la sanzione dell’inammissibilità del ricorso per la mancata presentazione del reclamo, nonché la rilevabilità d’ufficio di tale inammissibilità in ogni stato e grado del giudizio. La Consulta ricorda, quindi, di avere più volte dichiarato l’illegittimità di disposizioni che sanzionavano con la decadenza dall’azione giudiziaria il mancato previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo. Secondo la Consulta , pur essendo legittime forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri quando questi siano finalizzati al perseguimento di interessi generali, il legislatore deve sempre evitare una tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa operando un congruo bilanciamento tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire. Anche qualora ricorrano forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri finalizzati al perseguimento di interessi generali, tuttavia il legislatore “è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa” (154/1992; 360/1994,406/1993, 530/1989); “deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile” (233/1996; 56/1995), operando un “congruo bilanciamento” tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso intende perseguire (3/1997). Non sussistono, invece, dubbi di legittimità in merito all’assenza di terzietà dell’ufficio, in quanto si tratta di un procedimento conciliativo preprocessuale, il cui esito positivo è rimesso anche al consenso dello stesso contribuente, e pertanto non viene violato alcun diritto di difesa né di ragionevolezza. Secondo la Consulta non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma censurata: con riguardo all’obbligo di presentazione del reclamo preliminare al ricorso avverso atti emessi dalle Entrate e di valore non superiore a 2omila euro, poiché si è in presenza di esigenze di ordine generale o superiori finalità di giustizia che giustificano l’accesso differito al rimedio giurisdizionale.

Con riguardo alla mancata previsione che la mediazione sia svolta da un terzo o ancora con riguardo alla necessità di anticipazione, da parte del contribuente, delle prospettazioni difensive, la Consulta sottolinea che la mediazione tributaria non è riconducibile di per sé “all’àmbito mediatorio propriamente inteso”; essa rappresenta, infatti, una “forma di composizione pregiurisdizionale delle controversie basata sull’intesa raggiunta, fuori e prima del processo, dalle stesse parti (senza l’ausilio di terzi), che agiscono, quindi, su un piano di parità”; non potendo neppure l’amministrazione modificare i motivi della pretesa impositiva o fondarla su diversi presupposti. La Consulta promuove l’adempimento di oneri, quali un previo rimedio amministrativo, purché giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia; essa , riconduce in tale ambito gli istituti del reclamo e della mediazione in materia tributaria. Questi istituti mirano a soddisfare l’interesse generale sia assicurando un più pronto e meno dispendioso soddisfacimento delle situazioni sostanziali, sia riducendo il numero dei processi, e non collidono con gli altri preventivi istituti deflattivi dell’ordinamento. La circostanza che il reclamo è imposto solo ai contribuenti che sono parti di controversie relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate e di valore non superiore a 20 mila euro, la Corte osserva che si tratta della grande maggioranza numerica delle controversie tributarie, che corrispondono però a una percentuale assai ridotta del valore complessivo delle controversie contro l’Agenzia. Il legislatore ha, quindi, perseguito l’interesse generale a deflazionare il contenzioso tributario in modo ragionevole, prevedendo il rinvio dell’accesso al giudice con riguardo alle liti che rappresentano il numero più consistente delle controversie tributarie e, al contempo, quelle che comportano le minori conseguenze finanziarie. In tema di assenza di terzietà dell’organo deputato alla gestione della mediazione, affidata alla stessa Agenzia delle entrate. la Corte precisa che la mediazione tributaria è una forma di composizione pregiurisdizionale delle controversie basata sull’intesa raggiunta, fuori e prima del processo, dalle stesse parti, che agiscono su un piano di parità. Infine, neppure l’obbligo per il contribuente di rendere note le proprie argomentazioni difensive già in sede di reclamo, senza possibilità di modificarle nel giudizio, viola i parametri costituzionali; anche laddove il reclamo non sia applicabile, infatti, il ricorrente indica nel ricorso i motivi e l’oggetto della domanda.

Effetti retroattivi e conseguenze della sentenza

Giova osservare, che l’attuale norma ora prevede l’improcedibilità e non più l’inammissibilità del ricorso. Resta, ovviamente, estranea all’oggetto del giudizio della Consulta la valutazione sull’attuale versione della norma, che, come detto, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 147/2013 con effetto sugli atti notificati dal 2 marzo 2014, non prevede più l’inammissibilità, bensì l’improcedibilità del ricorso non preceduto dal reclamo.

La sentenza non riguarda la “nuova mediazione” cioè quella applicabile agli atti notificati a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della presente legge» (cioè, dice la Corte, essendo detta legge entrata in vigore il 1° gennaio 2014, agli atti notificati a decorrere dal 2 marzo 2014). La pronuncia di incostituzionalità interessa, quindi, i rapporti non esauriti ai quali è ancora applicabile il censurato comma 2 dell’articolo 17-bis nel suo testo originario. Ai sensi dell’articolo 136 della Costituzione, ribadito dall’articolo 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. In forza di un principio generale consolidato, la dichiarazione di incostituzionalità della norma produce effetti anche in relazione ai rapporti sorti anteriormente alla dichiarazione medesima, purché “non esauriti”.

Per rapporti esauriti si devono intendere tutte quelle situazioni giuridiche divenute consolidate ed intangibili per effetto di sentenze passate in giudicato o in conseguenza di atti amministrativi divenuti inoppugnabili ovvero, ancora, a seguito di altri atti o fatti, come la scadenza del termine di prescrizione o di decadenza per l’esercizio dei diritti ad essi relativi, di cui siano esauriti gli effetti e che siano rilevanti, sul piano sostanziale e processuale, nonostante l’inefficacia delle norme dichiarate incostituzionali. Gli effetti della deliberazione di accoglimento decorrono dal giorno successivo alla sua pubblicazione. Tali effetti si producono inoltre ex tunc, vale a dire anche relativamente ai rapporti sorti anteriormente alla declaratoria di illegittimità (efficacia c.d. Retroattiva). L’unico limite alla retroattività degli effetti della pronuncia è quello dei c.d. rapporti esauriti. Vale a dire che la retroattività non opera nei confronti di quei rapporti che hanno trovato la loro definitiva e irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato o per i quali sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza stabilito dalla legge per l’esercizio dei diritti ad essi relativi. Per tutti i processi ancora “aperti” e regolati dalla legge precedente, il mancato previo reclamo per mediazione non può più determinare l’inammissibilità del ricorso. I giudici tributari non possono più pronunciare tale inammissibilità e, ove la pronuncino (o l’abbiano pronunciata) il provvedimento può essere vittoriosamente impugnato (se non sono ancora scaduti i termini per impugnare l’inammissibilità).

22 aprile 2014

Ignazio Buscema