Riflessioni pratiche in tema di accertamento e contenzioso

pubblichiamo alcune riflessioni in tema di controlli ex articoli 36 bis e ter del Dpr 600/73, dell’istanza di disapplicazione della norma per le società di comodo, e i vari tipi di accertamento esperibili dal fisco.

Accertamento e contenzioso fiscale: riflessioni 

accertamento sintetico

Gli incontri con i colleghi sono uno splendido spunto per fare emergere questioni molto interessanti, nell’interesse del cliente e della qualità della consulenza prestatagli.

Ho dunque pensato di trascriverne alcuni in una breve serie di articoli, nella quale passeremo in rassegna spunti che riguardano vari temi nell’ambito dell’accertamento e del contenzioso.

In questa prima puntata ci occupiamo dei controlli ex artt. 36 bis e ter del Dpr 600/73, dell’istanza di disapplicazione della norma in tema di società di comodo, nonché di alcune riflessioni riguardanti i vari tipi di accertamento esperibili dal fisco.

 

 

I CONTROLLI EX ART. 36-BIS DEL DPR 600/73

La cartella esattoriale può non essere preceduta dall’avviso bonario?

notifica postale degli atti tributariE’ noto come, in caso di controlli ex art. 36 bis, l’Agenzia delle Entrate invii una lettera, nota come “avviso bonario”, nella quale preannuncia l’emissione del ruolo nel caso in cui le risultanze dell’avviso stesso non siano smentite documentalmente dal contribuente destinatario.

Ci si è più volte chiesto, però, se sia legittima l’emissione della cartella esattoriale se non preceduta dall’avviso bonario.

Possiamo dire, oggi, che la risposta può essere sia positiva sia negativa in quanto essa dipende dalla finalità della cartella stessa: se si tratta di recuperare un mero omesso versamento (ovvero si tratta di una situazione incontrovertibile), è da ritenersi legittima anche in assenza di avviso bonario; le cose cambiano invece se si tratta di fattispecie relativa ad una valutazione di merito (si pensi al caso di illegittima detrazione): in tal caso, infatti, non sarà possibile saltare il passaggio dell’avviso bonario, e l’eventuale cartella notificata in assenza dello stesso sarà irrimediabilmente impugnabile per illegittimità”.

 

A scanso di equivoci, tuttavia, possiamo confermare come, anche nel caso  di cartella (legittimamente) non preceduta da avviso bonario si può pagare beneficiando della riduzione della sanzione a un terzo della sanzione minima (10%, nel caso di omesso versamento).

 

E’ possibile invocare l’art. 36-bis per disconoscere un credito in anni diversi da quello in cui si è formato?

sentenza corte di cassazioneIn tale ambito, è intervenuta la Cassazione, che, con l’ordinanza n. 5318 del 2012, ha avuto modo di affermare che non è possibile “discostarsi dalla condivisibile giurisprudenza (Cassazione n. 14070 del 2011, e n. 12762 del 2006) secondo cui la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, è ammissibile, e può evitare l’attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo.

Con tali modalità non possono, invece, risolversi questioni giuridiche o esaminarsi atti diversi dalla dichiarazione stessa (senza previamente contestare al contribuente il relativo accertamento  con il prescritto avviso).

Nella specie, la negazione della detrazione nell’anno in verifica di un credito dell’anno precedente, per il quale la dichiarazione era stata omessa, non può essere ricondotta al mero controllo cartolare, in quanto implica verifiche e valutazioni giuridiche, dovendo ritenersi che il disconoscimento dei crediti e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta dovevano, pertanto, avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica.”

In questo stesso filone, ma in tema di Iva, si colloca la sentenza della sezione VIII della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia n. 80 del 07/10/2013, che ha statuito che “L’Erario non può disconoscere il credito IVA maturato dal contribuente in un’annualità fiscale a meno che venga appositamente contestato con un avviso di accertamento e ciò anche in caso di omessa dichiarazione”.

 

E’ possibile invocare l’art. 36-bis per recuperare somme per intervenuta decadenza da rateizzazione di avviso bonario?

La risposta a tale dubbio non può che essere negativa, e ciò in base all’assunto secondo il quale l’elencazione delle ipotesi previste dalla norma è da ritenersi tassativo e non esemplificativo.

Ma, appurato questo, come procedere in sede di impugnazione? Chi è il soggetto da individuare come controparte? Dal punto di vista operativo, infatti, questo problema si traduce nella obbligatorietà della presentazione del reclamo o meno. Nel dubbio, è consigliabile fare due ricorsi: uno non preceduto da mediazione verso la concessionaria della riscossione per errori contenuti nella cartella esattoriale, l’altro verso l’Agenzia della Entrate previa presentazione della mediazione.

 

 

I CONTROLLI EX ART. 36-TER DEL DPR 600/73

E’ possibile invocare l’art. 36-ter per disconoscere una deduzione in anni diversi da quello in cui si è formata?

Il caso è quello in cui si riceva una richiesta di documenti relativi ad una annualità, poniamo il 2010, nella quale è stata dedotta la terza delle dieci rate in cui è detraibile la spesa – ad esempio – di ristrutturazione edilizia o di riqualificazione enegetica.

In tal caso, l’accertamento ex art. 36-ter in caso di tali spese, detraibili, ad esempio dal 2008 al 2017, può essere fatto solo se viene contestato il primo anno di formazione (ad esempio il 2008); se invece il Fisco vorrà contestare la detrazione effettuata dal 2009 al 2017 non potrà invocare il 36-ter ma dovrà emettere un apposito avviso di accertamento.

Di tale avviso la sezione III della Commissione Tributaria Provinciale dell’Emilia Romagna del 06.02.2013 n. 36, che ha motivato come segue:

“Si ritiene che il controllo ai sensi dell’articolo 36 ter D.P.R. n. 600 del 1973 debba avvenire con riferimento al periodo di imposta oggetto di esame e possa realizzarsi in un “controllo formale ” dal quale possa emergere “ictu oculi” l’esclusione in tutto o in parte di detrazioni o deduzioni ecc.

La negazione della detrazione in oggetto non può essere ricondotta al mero controllo formale, in quanto implica verifiche e valutazioni giuridiche peraltro relative a costi sostenuti in anni differenti da quello considerato.

Gli Uffici infatti qualora volessero entrare nel merito della detrazione, esaminare questioni giuridiche ecc. dovrebbero utilizzare lo strumento dell’avviso di accertamento e potrebbero farlo con riferimento all’anno in cui i costi sono stati sostenuti e cioè sono sorti i presupposti che hanno determinato il diritto alla detrazione, detrazione che poi viene frazionata in più anni, ma che dipende dalla normativa vigente nell’anno di sostenimento e ciò nel pieno rispetto del principio di autonomia fra i diversi periodi di imposta.

Diversamente ragionando ci sarebbe un ampliamento ingiustificato dei termini previsti per legge e si verificherebbero disparità di trattamento tra coloro che hanno ripartito gli oneri in 3, 5 o 10 anni,di fatto – utilizzando impropriamente l’art. 36 ter – verrebbero anche elusi i sicuri termini decadenziali dettati dall’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973 considerato che questi sono stati necessitati dall’intervento della Corte Costituzionale.

Ammettere infatti un disconoscimento puntuale di oneri relativi ad una spesa per esempio di 9 anni precedenti, significa di fatto riconoscere all’Agenzia la possibilità di contestare implicitamente una dichiarazione tanto remota peraltro con uno strumento improprio.”

 

 

E’ utile, d’altronde, riportare qui il disposto dell’articolo in commento, il quale, al comma 2, indica i casi tassativi in cui è legittimo procedere a tale forma di controllo.

a) escludere in tutto o in parte lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, dalle comunicazioni di cui all’articolo 20, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o dalle certificazioni richieste ai contribuenti ovvero delle ritenute risultanti in misura inferiore a quella indicata nelle dichiarazioni dei contribuenti stessi;

b) escludere in tutto o in parte le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi di cui all’articolo 78, comma 25, della legge 30 dicembre 1991, n. 413;

c) escludere in tutto o in parte le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi menzionati nella lettera b);

d) determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;

e) liquidare la maggiore imposta sul reddito delle persone fisiche e i maggiori contributi dovuti sull’ammontare complessivo dei redditi risultanti da più dichiarazioni o certificati di cui all’articolo 1,  comma 4, lettera d), presentati per lo stesso anno dal medesimo contribuente;

f) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d’imposta.

 

 

L’ISTANZA DI DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA IN TEMA DI SOCIETÀ DI COMODO

E’ noto come, nel caso in cui una società rientri potenzialmente tra quelle “di comodo”, sia possibile ottenerne l’esclusione direttamente dall’Agenzia delle Entrate, a cui va inoltrata una circostanziata istanza, nella quale elencare il motivo o i motivi per cui si ritiene che essa debba esserne esonerata. Si tratta dell’istanza di disapplicazione della norma antielusiva, istituto in vigore anche ad altri fini ai sensi del comma 8 dell’art. 37 bis del dpr 600/73.

 

Come procedere in caso di riscontro negativo dell’istanza ?

In tema di impugnabilità di tale atto, l’orientamento della Corte di Cassazione, nonostante si stia attestando sul riconoscerne l’ammissibilità, non è da considerarsi tacito.

La Cassazione, infatti, se da un lato, con la sentenza n. 8663/2011, ne ha ammesso l’autonoma impugnabilità assimilandolo alla negazione di agevolazioni fiscali (articolo 19, lettera h del D.Lgs. 546/1992), dall’altro, con la successiva sentenza n. 17010/2012, ne riconosce l’impugnabilità in quanto il diniego è atto idoneo ad incidere immediatamente nella sfera giuridica del destinatario, perché, pur non traducendosi in un diniego di agevolazione in senso tecnico, al verificarsi di determinati presupposti conduce all’applicazione di un regime impositivo diverso da quello ordinariamente applicabile.

Tale differenti motivazioni inducono a considerare che ad oggi non vi sia una chiara situazione circa l’impugnabilità dell’atto con cui l’Agenzia delle Entrate rigetta l’istanza, ritenendo dunque inidonee all’esclusione le circostanze addotte dal contribuente; si pone dunque il problema di come comportarsi in una situazione del genere.

Se si seguisse la giurisprudenza sull’elenco tassativo delle fattispecie di cui all’art. 19, si potrebbe impugnare l’avviso di accertamento che verosimilmente arriverà nel caso in cui il contribuente si rifiuti ugualmente ad assoggettarsi alla normativa,

Se invece si impugnasse già il rifiuto dell’istanza, si potrebbe incorrere nel giudizio di rigetto del ricorso per carenza dell’atto impugnabile da parte del Giudice Tributario.

Pertanto, anche in questo caso, la soluzione più favorevole al contribuente è la seguente:

1) presentazione dell’ istanza di interpello, 2) impugnazione del rifiuto, 3) indicazione di causa di in applicazione (forzata) in Unico, 4) al ricevimento dell’accertamento, impugnazione dell’accertamento.

Il consiglio dunque è quello di impugnare entrambi gli atti.

 

Una nuova ipotesi riconosciuta dall’AdE ai fini del riconoscimento dell’esclusione dalla norma antielusiva

Con la Risoluzione Ministeriale n. 68/13, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto ufficialmente una nuova circostanza che esclude il contribuente dalla norma antielusiva in discorso.

Si tratta della situazione in cui il contribuente, che dalla vendita di un immobile ha conseguito una plusvalenza, decida di fruire della rateizzazione della stessa, fiscalmente concessa dall’art. 86 comma 1, lett. a), b) e comma 4 del Tuir. Poiché la non applicazione del citato art. 86 avrebbe comportato un utile fiscale tale da far fuoriuscire la società dal campo di applicazione della disciplina antielusiva, l’Agenzia delle Entrate ha correttamente ritenuto che tale fattispecie possa rientrare nelle “oggettive situazioni” che hanno comportato la presentazione di dichiarazioni in perdita fiscale.

 

 

I vari tipi di accertamento fiscale

La differenza tra accertamento analitico, accertamento analitico-induttivo, ed accertamento induttivo, risiede solo nella graduazione delle prove che ne permettono l’utilizzo.

Pertanto, è da ritenersi legittimo che l’AdE passi dall’induttivo puro all’analitico, ma non viceversa.

L’accertamento analitico puro è uno strumento ormai in disuso nella prassi dell’Ufficio.

 

E’ trascorso il termine di 90 giorni per l’invio dell’Unico: è utile presentarlo ugualmente?

Se è passato il novantesimo giorno dal termine di presentazione della dichiarazione dei redditi non è conveniente presentare l’Unico, in quanto la legge prevcede che tale dichiarazione si considera omessa a tutti gli effetti; una presentazione oltre tale termine si tradurrebbe dunque solo in una sorta di autodenuncia, che farebbe scattare inevitabilmente l’accertamento induttivo.

 

Quali sono i casi di irregolarità che fanno scattare l’accertamento induttivo, a cui fa cenno l’art. 39 comma 2 lett d)?

Due delle principali fattispecie che hanno l’effetto di rendere inattendibili nel  loro  complesso le scritture contabili per mancanza delle garanzie proprie di una  contabilità sistematica sono: 1) un valore negativo del conto “cassa”, 2) un valore negativo del patrimonio netto contabile.

 

Il problema della presunzione di locazione e la possibile soluzione.

L’art. 41-ter del Dpr n. 600/73 prevede una presunzione di locazione con riferimento ai redditi di fabbricati derivanti da locazione dichiarati in misura inferiore al maggiore tra il canone di locazione risultante dal contratto ridotto del 15% e il 10% del valore dell’immobile.

In casi di legittima dichiarazione del reddito, si potrebbe optare per la registrazione di un contratto di comodato.

 

10 gennaio 2014

Danilo Sciuto