Leasing e fallimento: quali opportunità?

vi sono più opzioni possibili per il curatore in caso di fallimento dell’utilizzatore di un bene in leasing: vi è la possibilità di subentrare nel contratto solo se tale atto è conveniente per la massa dei creditori

La Legge fallimentare in relazione ai beni in leasing comprende sia regole generali relative ai contratti pendenti, sia regole specifiche previste appositamente con riferimento al contratto di leasing finanziario.

L’art. 72 quater della L.Fall stabilisce che, in caso di fallimento dell’utilizzatore, si determina la sospensione dell’esecuzione del contratto fino a quando il curatore, all’uopo autorizzato dal comitato dei creditori, dichiara alla società condedente la sua volontà di subentrare nel contratto (in luogo del fallito) assumendone così tutti i relativi obblighi, ivi compreso il diritto ad esercitare il recesso dal predetto contratto. Peraltro, in caso di subentro da parte del curatore, quest’ultimo dovrà riconoscere al concedente, in prededuzione (massimo grado di privilegio riconosciuto), le somme ascrivibili ai canoni mancanti sino al termine della conclusione del contratto.

 

Si ritiene che il curatore, anche in caso di subentro nelle posizioni dell’utilizzatore (dichiarato fallito), possa comunque procedere alla risoluzione unilaterale del contratto, se non più funzionale alla procedura, a nulla rilevando che ciò avvenga prima della scadenza naturale del contratto di leasing. Ancora, nulla toglie al Curatore la facoltà, nelle more dell’utilizzo del bene in leasing, di poter cedere a terzi il contratto, qualora ciò produca maggiori vantaggi (in termini di monetizzazione) a favore della massa dei creditori. Analogamente, il curatore potrà cedere il contratto anche nell’ambito della cessione d’azienda (o di un suo ramo), qualora il contratto di leasing sia un elemento essenziale per la vendita in oggetto.

 

La decisione di subentrare o meno nel contratto di locazione finanziaria deve, comunque, avvenire in tempi abbastanza rapidi atteso che la società di leasing concedente può, a norma dell’art. 72 c. 2 LF, mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni decorso il quale il contratto si intende sciolto. Nel caso in cui sia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa dichiarata fallita, il contratto di leasing, se riconducibilie ad un bene utile alla prosecuzione dell’attività, continua ad avere esecuzione. Se così non fosse, invece, il curatore potrà, a norma dell’art. 72-quater c. 1 LF, esercitare il suo diritto di recesso dal contratto.

 

Lo scioglimento unilaterale del contratto comporta, in capo al concedente, il diritto alla restituzione del bene, ma non solo. È onere dell’utilizzatore, rientrato in possesso del bene, riconoscere alla procedura fallimentare l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo. Diversamente, invece, in caso sussista una differenza positiva a favore del concedente (somma ricavata dalla vendita minore al credito residuo in linea capitale), la società di leasing ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per tale eccedenza, ai sensi dell’art. 72-quater cc. 2 e 3 LF. Ad ogni modo, le somme già riscosse anteriormente alla dichiarazione di fallimento dal concedente non sono soggette a restituzione o ad azione revocatoria: l’art. 67 c.a 3 lett. a LF prevede, infatti, che i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso non sono soggetti all’azione revocatoria.

 

In caso di fallimento dell’utilizzatore, il curatore dovrà tener conto di determinati elementi ai fini delle decisioni da assumere. Detti elementi sono sostanzialmente riconducibili al valore di realizzo derivante dalla vendita (o dalla riallocazione) del bene, all’ammontare del credito residuo in linea capitale ( capitale compreso nelle sole rate con scadenza successiva alla data della dichiarazione di fallimento), nonché all’ammontare del credito vantato alla data del fallimento (somma delle quote di capitale delle rate scadute e non pagate fino alla data della dichiarazione di fallimento, unitamente agli interessi maturati sino a detto momento).

 

Ciò comporta l’esistenza, di due tipologie di credito che operano su piani completamente differenti. Ci si riferisce, in particolare, ad un credito concorsuale relativo al credito insoddisfatto alla data di dichiarazione del fallimento e ad un credito fuori concorso che corrisponde alla frazione di credito assorbita dal valore di realizzo che il concedente può trattenere a seguito della vendita del bene. Per la determinazione di quest’ultima tipologia di credito, occorre considere, in primo luogo, il prezzo di acquisto del bene al netto delle quote capitali rimborsate prima del fallimento, a cui si aggiungono eventuali spese sostenute per mettere l’utilizzatore in condizione di poter godere del bene. Il credito come sopra determinato deve poi essere sottratto dal valore realizzato dalla vendita del bene o dalla riallocazione dello stesso. Tale situazione potrebbe dare luogo ad un’ eccedenza a favore della procedura qualora il valore allocativo ecceda il valore del credito residuo. Diversamente, nel caso in cui il valore allocativo risulti essere inferiore al credito, si genera un’eccedenza a favore del concedente, il quale potrà insinuarsi allo stato passivo della procedura per detto ammontare: al ricorrere di tale ipotesi, il concedente istante dovrà considerare, ai fini del concorso, anche gli interessi maturati prima della data di apertura del fallimento e il valore dei canoni insoluti maturati tra la data di fallimento e quella di vendita o riallocazione del bene.

 

11 dicembre 2013

Sandro Cerato