Riconoscimento del credito IVA nei casi di omessa dichiarazione o di omesso riporto in dichiarazioni successive: ecco cosa si può concretamente fare

nel corso del tempo si è assistito a diverse interpretazioni riguardo al possibile riporto di crediti IVA, maturati in annualità per le quali risultava omessa la dichiarazione; tentiamo di valutare le possibili opzioni per i contrbuenti che intendono recuperare tali crediti fiscali

1. Premessa

Nel corso del tempo, si è assistito a diverse interpretazioni, riguardo al possibile riporto di crediti Iva, maturati in annualità per le quali risultava omessa la dichiarazione. Ad un primo approccio di tipo “sostanziale”, rappresentato dalla Risoluzione n. 74/E del 19 aprile2007, l’Agenzia delle Entrate ha infatti opposto quanto successivamente affermato, con la Circolare n. 34/E del 6 agosto 2012. Il primo documento di prassi poneva in risalto, infatti, il sostanziale diritto a vedersi riconosciuto il credito, in quanto esistente, e documentalmente comprovato, pur in costanza di omissione dichiarativa. La circolare da ultimo citata, viceversa, nega ogni possibilità di riporto dello stesso, stante l’omessa dichiarazione nell’anno di maturazione. Alla luce di quanto precede, si ritiene opportuno proporre una “sintesi” e suggerire ipotesi utilmente percorribili.

 

2. L’orientamento favorevole al riconoscimento del credito

La Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 74/E del 19 aprile 2007, ha trattato due distinte problematiche, entrambe inerenti il riconoscimento di un credito iva, in presenza di omissioni caratterizzanti la fase dichiarativa, da parte del contribuente, e precisamente:

a) Crediti iva correttamente dichiarati nell’anno di maturazione, ma non riportati nelle dichiarazioni annuali successive, anche nell’ipotesi dell’omissione di una di queste ;

b) Crediti iva emergenti da dichiarazioni annuali omesse, o tardive oltre i termini.

 

2.1 Il mancato riporto del credito agli esercizi successivi

Nell’ipotesi in esame si configura una fattispecie che non compromette la fruibilità e la spettanza del credito in discussione, stante la corretta esposizione dello stesso, nella dichiarazione riferita all’anno in cui si è generato. La stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 12012 del 29 marzo 2006, affermava che, anche laddove il contribuente avesse omesso il riporto del credito nella dichiarazione dell’anno successivo, lo stesso non avrebbe perduto comunque il diritto alla detrazione. Quanto precede, stante il disposto dell’allora vigente articolo 28 del d.p.r. n. 633/721, che comminava la decadenza dal predetto diritto, solo nell’ipotesi in cui l’eccedenza d’imposta non risultasse riportata nella prima dichiarazione utile (locuzione da intendere nel senso di “quella riferita all’annualità in cui il credito si è generato…”2).

La stessa Agenzia delle Entrate, nel documento di prassi in esame, ha ulteriormente affermato che “La scrivente è dell’avviso che alle medesime conclusioni possa giungersi nel caso in cui la dichiarazione dell’annualità successiva sia stata omessa”. Ne consegue quindi che il diritto al credito maturato, e correttamente esposto nella dichiarazione di competenza, non viene meno, neppure in presenza di omissione dichiarativa, con riferimento all’annualità successiva a quella di riferimento. Si ricorda che una dichiarazione si considera “omessa”, non soltanto se non risulti presentata, ma anche nell’ulteriore ipotesi in cui la presentazione avvenga con un ritardo superiore a 90 giorni, rispetto al termine normativamente statuito per l’adempimento: quanto precede, in osservanza al disposto di cui all’articolo 2, comma 7, del d.p.r. n. 322 del 1998 . La risoluzione n. 74/E, più volte richiamata, pone l’attenzione sul fatto che, in presenza di omissione dichiarativa, il contribuente si espone ad un possibile accertamento di carattere induttivo, come espressamente previsto dal 1° comma dell’articolo 55 del d.p.r. n. 633/72. La norma appena richiamata evidenzia, tuttavia, che, quella di attivare un accertamento induttivo nei confronti del contribuente colpevole di tale omissione, rappresenta una facoltà a disposizione degli uffici, e non un obbligo loro imposto : “se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale, l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto può procedere in ogni caso all’accertamento dell’imposta dovuta, indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità”.

La disposizione in esame prosegue quindi affermando che “in tal caso l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sono determinati induttivamente …, e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art.19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33”. Interessante, a tal proposito, è il disposto della sentenza n°8602 del 2 ottobre 1996, emessa dalla Corte di Cassazione: la predetta pronuncia evidenzia una possibile, erronea, interpretazione del citato articolo 55, tesa a porre in risalto l’utilizzo l’avverbio “soltanto”, nell’intento di limitare le detrazioni esclusivamente a quelle espressamente richiamate. Una simile “lettura”, tuttavia, prosegue la sentenza della Suprema Corte, penalizzerebbe l’omissione della dichiarazione annuale, con la perdita dei crediti non compresi nelle suddette “fotografie” periodiche infrannuali. I Giudici di legittimità hanno quindi evidenziato l’attinenza di quanto espresso dall’articolo 55 del d.p.r. n. 633/72, alle sole operazioni inerenti il periodo d’imposta controllato. Dal controllo cui fa riferimento il testo normativo esaminato risulterebbe, conseguentemente “indenne”, la problematica inerente la sussistenza o meno del credito maturato in esercizi precedenti. Tale credito, infatti, non incide in alcun modo sull’entità del saldo (debitorio o creditorio) riscontrato dall’ufficio, in assenza della dichiarazione, come mero frutto delle operazioni rappresentate nelle liquidazioni periodiche del periodo sottoposto a controllo. Lo stesso appare, invece, determinante, nella fase, ulteriore e successiva, inerente la determinazione delle somme da versare, al netto di eventuali compensazioni. Se si assumesse come valida l’interpretazione “restrittiva” commentata, afferma ulteriormente la Cassazione, si finirebbe per danneggiare ingiustamente il contribuente che abbia optato per il riporto del credito d’imposta ad annualità successive, rispetto a quello che ne abbia chiesto il rimborso !

Concludendo l’esame della questione, la citata sentenza affermava che “… si deve ritenere che l’inottemperanza dell’obbligo della dichiarazione annuale espone il contribuente all’accertamento induttivo, e gli preclude la facoltà di portare in deduzione l’iva versata nel relativo periodo su acquisti di beni o servizi, se non registrata nelle liquidazioni…, ma non lo priva del diritto di scomputare dalle somme dovute in base a tale accertamento il credito che abbia maturato nel periodo anteriore, e per il quale abbia chiesto la successiva detrazione, ai sensi dell’articolo 30 del d.p.r. n°633 del 1972”.

Da quanto esposto, emerge quindi che la Cassazione ammette l’utilizzo di un credito sorto nel corso di un’annualità precedente, anche in presenza di dichiarazione omessa nel corso di annualità successive: quanto precede, stante il disposto normativo di cui all’articolo 55 del d.p.r. n. 633/72, pur considerando che il predetto disposto normativo non si pronuncia espressamente in merito.

In rapida successione temporale rispetto al predetto orientamento, è stata introdotto l‘articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 18 dicembre 1997, norma tesa a disciplinare le violazioni in materia di imposta sul valore aggiunto. La citata disposizione stabilisce che, in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, al fine di determinare l’imposta dovuta, sono computati in detrazione tutti i versamenti effettuati in relazione al periodo, il credito dell’anno percedente che non si astato chiesto a rimborso, oltre alle detrazioni d’imposta rappresentate nelle liquidazioni periodiche dell’anno, correttamente eseguite e documentate.

La norma richiamata andava a completare il disposto di cui all’articolo 55 del d.p.r. n. 633/72, ammettendo espressamente l’utilizzo di un credito, sorto e correttamente indicato in un precedente periodo d’imposta, il cui utilizzo sia stato richiesto in un’annualità successiva : annualità in relazione alla quale sia emersa l’omissione della dichiarazione annuale.

In sintesi, pertanto, afferma l’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 74/E, del 19 aprile 2007, “se, ad esempio, il contribuente nella dichiarazione annuale IVA relativa all’anno 2003 ha optato per il computo in detrazione del credito d’imposta nell’anno successivo…, e poi ha omesso di presentare le dichiarazioni IVA relative agli anni 2004 e 2005 (ovvero le ha trasmesse oltre 90 giorni dal termine ultimo di presentazione), il credito medesimo potrà essere detratto dalle liquidazioni periodiche degli anni successivi, e l’eventuale eccedenza residua potrà essere indicata nella dichiarazione IVA relativa all’anno 2006 ; ciò a condizione che il predetto credito sia stato correttamente utilizzato nelle liquidazioni periodiche IVA, ovvero nel modello F24, se utilizzato in compensazione con altre imposte o contributi”.

 

2.2 Crediti maturati in periodi d’imposta con dichiarazione omessa

Diversa ipotesi è quella inerente i crediti maturati nel corso di annualità in relazione alle quali siano stati omessi gli obblighi dichiarativi: crediti poi riportati nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. In merito, l’Agenzia delle Entrate, ha evidenziato nel corso del tempo, difformi interpretazioni.

 

2.2.1 L’orientamento favorevole al riconoscimento del credito

La risoluzione n. 74/E del 19 aprile 2007, ha ripreso il disposto di cui all’articolo 55 del d.p.r. n. 633/72, già in precedenza esaminato, per chiedersi se, nella fattispecie in questione, su richiesta del contribuente, gli uffici debbano attivarsi, dando luogo all’accertamento induttivo previsto dalla norma.

Secondo il documento di prassi in esame, da una lettura congiunta degli articoli 8 del d.p.r. n. 322 del 1998 e 19 del d.p.r. n. 633/72, sarebbe possibile desumere che la decadenza del diritto alla detrazione ricorre soltanto ove lo stesso non sia esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in relazione al quale tale diritto è sorto. In sostanza, perchè il diritto alla detrazione venga ad essere compromesso, occorre il verificarsi congiunto, di entrambe le circostanze omissive seguenti:

a) omessa registrazione ed imputazione con riferimento alle liquidazioni periodiche di competenza ;

b) omessa indicazione dello stesso credito in dichiarazione annuale, circostanza che comprende l’ipotesi di radicale omissione di presentazione di quest’ultima.

Laddove infatti si fosse regolarmente proceduto alla registrazione delle operazioni, imputandole secondo la loro competenza temporale, e facendole così confluire nelle relative liquidazioni periodiche, anche in presenza di contestuale omissione della dichiarazione annuale non si vedrebbe inficiato il proprio diritto al credito.

Da notare ulteriormente che, una volta che sia infruttuosamente scaduto il termine ultimo per vedere riconosciuto il credito spettante, rappresentato, come si è detto, dalla dichiarazione del secondo anno successivo a quello di maturazione, al contribuente non rimarrà che il procedimento del c.d. “rimborso anomalo” di cui all’articolo 21 del d.p.r. n. 633/72.

Quindi, in sintesi, posto che il credito emerga dalle risultanze delle liquidazioni periodiche e dai versamenti periodici eseguiti, anche ove sia stata omessa la relativa dichiarazione, la medesima eccedenza potrà essere computata in detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo periodo d’imposta successivo a quello di maturazione. Quanto precede, tuttavia, a condizione che la sussistenza dello stesso credito risulti accertata dagli uffici competenti, a seguito dell’attività di controllo eseguita ai sensi dell’articolo 55 del d.p.r. n°633/’72 (qui definita come un “potere/dovere”, e non come una mera “facoltà”…).

Secondo il documento di prassi esaminato, pertanto, veniva riconosciuto al contribuente il diritto di richiedere agli uffici di procedere ad accertamento induttivo, onde ottenere dalla verifica l’attestazione circa l’esistenza del credito vantato, in presenza di omissione dichiarativa.

 

2.2.2 L’orientamento contrario alla riportabilità del credito

Nel corso dell’attività di controllo formale eseguita ai fini iva, ai sensi dell’articolo 54-bis del d.p.r. n. 633/72, può verificarsi il riporto in dichiarazione di un credito derivante dal precedente periodo d’imposta: periodo nel quale risultava invece omesso l’adempimento dichiarativo.

In tali ipotesi, la procedura attualmente seguita dagli uffici è quella di emettere una comunicazione di irregolarità per contestare al contribuente, contestualmente al riporto del predetto credito, un maggior debito d’imposta, o, se del caso, un minor credito. A quanto precede, consegue ulteriormente l’aspetto sanzionatorio, disciplinato dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 18 dicembre 1997, che prevede una sanzione pari al 30%, da applicarsi sull’importo così rideterminato. Il trattamento sanzionatorio, come noto, è “mitigato”ad un terzo dell’ammontare ove il contribuente provveda al versamento delle somme contestate, entro in termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, stante il disposto di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n.462 del 18 dicembre 1997.

Viceversa, in assenza di pagamento, gli importi contestati formeranno oggetto di iscrizione a ruolo, e di successiva cartella di pagamento.

Nella prassi evidenziatasi presso le commissioni tributarie, i contribuenti si oppongono impugnando le relative cartelle, eccependo la spettanza “sostanziale” del credito, anche se non dichiarato nell’anno di maturazione; gli stessi, inoltre, rivendicano altresì l’obbligo, in capo agli uffici, di procede all’accertamento induttivo ex articolo 55 del d.p.r. n. 633/72, onde attestare la spettanza sostanziale del credito contestato.

Sulla fattispecie l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 34/E del 6 agosto 2012, ha espresso orientamento contrario a quanto esaminato nel precedente paragrafo, disconoscendo la fruibilità di un credito iva sorto nel corso di un periodo d’imposta in cui sia stata omessa la dichiarazione.

In particolare, viene richiamato il secondo comma dell’articolo 30, d.p.r. n. 633/72, secondo il quale, qualora dalla dichiarazione annuale emerga un’eccedenza d’imposta, “… il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso…”. Il documento di prassi in esame, prosegue quindi evidenziando come l’omissione dichiarativa, alla luce del disposto normativo appena richiamato, non possa che risultare ostativa al riporto del credito all’annualità successiva, oltre che all’accesso al rimborso, secondo le modalità individuate dallo stesso articolo 30 del d.p.r. n. 633/72.

Sarebbe pertanto in tal modo legittimato l’operato dell’amministrazione, nei casi in cui proceda al recupero di crediti riportati e derivanti da annualità caratterizzate da omissioni dichiarative: ripresa a tassazione da attuarsi mediante il controllo formale previsto, in materia di imposta sul valore aggiunto, dall’articolo 54-bis del d.p.r. n. 633/72.

La norma citata infatti, tra l’altro, è votata a “correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni”. Secondo l’interpretazione fornita con la circolare in commento, pertanto, il credito non dichiarato nell’anno di maturazione, non è utilizzabile in detrazione in una dichiarazione successiva, senza che assuma alcun rilievo il fatto dell’effettiva maturazione, o della “sostanziale” spettanza dello stesso, alla luce delle liquidazioni periodiche e dei versamenti effettuati dal contribuente.

L’Agenzia delle Entrate, a supporto della propria tesi, richiama anche alcune sentenze della Suprema Corte, come, a titolo esemplificativo, quella del 4 maggio 2010, n. 10674, che testualmente recita “l’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale esclude implicitamente la possibilità di recuperare il credito maturato in ordine al relativo periodo d’imposta, attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo d’imposta successivo”.

Sulla medesima linea interpretativa, peraltro, viene evidenziato il sussistere di una consolidata giurisprudenza di legittimità, solo sporadicamente interrotto da pronunce contrarie. Viene attribuito particolare rilievo alla sentenza n. 20040 del 30.09.2011 della Suprema Corte, secondo la quale, in sintesi:

a) presupposto fondamentale per far valere un credito, è la regolare presentazione della dichiarazione riferita all’anno in cui lo stesso è sorto, come affermato dall’articolo 30 poc’anzi esaminato;

b) l’accertamento induttivo, statuito ex articolo 55 del d.p.r. n. 633/72, nel- le ipotesi di omessa dichiarazione, non costituisce un obbligo per gli uffici, bensì una mera facoltà rientrante nelle potestà ordinariamente esercitabili dagli stessi. Si tratta, pertanto, di un’iniziativa lasciata alla discrezionalità degli organi verificatori: la decisione di attivarsi per procedere al controllo di determinate posizioni, è funzione delle strategie perseguite dall’amministrazione finanziaria, e non può essere “innescata” su semplice richiesta del contribuente.

La circolare n. 34/E prosegue evidenziando come, al contribuente che veda riscontrata la sostanziale spettanza del proprio credito, seppur “non dichiarato”, resti comunque impregiudicata la possibilità di esperire istanza di rimborso, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 546/92.

Può accadere pertanto che, a seguito di una procedura di controllo formale, avente ad oggetto la dichiarazione nella quale è stato riportato il credito a suo tempo non dichiarato, segua specularmente un’istanza di rimborso da parte del contribuente con riguardo allo stesso credito ripreso a tassazione. A tal proposito va evidenziato che, nell’ambito del procedimento di liquidazione delle dichiarazioni, ex articolo 54-bis del d.p.r. n°633/72, non sono ipotizzabili compensazioni tra quanto richiesto dall’amministrazione, ed il credito richiesto a rimborso dal contribuente. In merito, viene fatto rinvio alla circolare n. 23 del 4 maggio 2010, che si era occupata di accertamenti tesi a contestare la competenza economica di componenti negativi del reddito d’impresa. Nel documento di prassi richiamato, si affermava che il diritto del contribuente al rimborso di un importo ripreso a tassazione nell’esercizio sottoposto a verifica, ma da considerarsi correttamente deducibile nell’esercizio ad esso temporalmente connesso (immediatamente precedente o successivo), spettava unicamente a seguito della definizione della pretesa, a favore dell’Amministrazione. Seguendo tale percorso logico, quindi, la circolare n. 34/E in esame, con riferimento alla fattispecie oggetto del presente contributo, conclude affermando che il diritto al rimborso relativo al credito ripreso a tassazione, qualora eventualmente spettante, potrà essere esercitato dal contribuente entro due anni dal pagamento di quanto preteso dall’amministrazione, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo n°546/’92, nelle diverse ipotesi possibili:

  • a seguito di comunicazione di irregolarità, nell’ambito del controllo formale;

  • a fronte della successiva cartella di pagamento;

  • a seguito di sentenza divenuta definitiva, conseguente all’ impugnazione della predetta cartella .

 

In sede di esame delle istanze di rimborso così pervenute, gli uffici verificheranno l’effettiva spettanza dei crediti vantati, mediante esame di documentazione contabile ed extra-contabile, seguendo la prassi comunemente in uso per la verifica delle istanze di rimborso presentate dai contribuenti in materia di imposta sul valore aggiunto.

L’Agenzia nella stessa circolare n. 34/E, raccomanda quindi agli uffici di attenersi ai seguenti principi, con riferimento alla fattispecie in esame:

a) la mancata dichiarazione di un credito, ed il suo successivo utilizzo in una dichiarazione successiva configura violazione dell’articolo 30, d.p.r. n°633/’72 in precedenza esaminato. Viene pertanto confermato l’orientamento che legittima la validità e correttezza di quanto conseguentemente contestato mediante il controllo formale esperito ai sensi dell’articolo 54-bis del d.p.r. n°633/’72 in tali circostanze.

b) Il contribuente avrà la possibilità di presentare istanza di rimborso del credito, entro due anni dal pagamento di quanto preteso dall’amministrazione, nelle varie ipotesi possibili, poc’anzi esaminate, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo n°546/’92. Il rimborso sarà erogato soltanto a seguito di debiti riscontri e verifiche eseguite in merito alla sua effettività sostanziale.

 

Alla luce del precedente, più favorevole orientamento3, qualora un contribuente venisse raggiunto da un avviso bonario (o da una cartella di pagamento) per l’illegittimo riporto del credito iva, lo stesso avrebbe potuto recarsi presso l’ufficio competente, per ottenere l’annullamento dell’atto, previa dimostrazione dell’esistenza sostanziale del credito.

La diversa, e più recente, soluzione interpretativa proposta dalla circolare n. 34/E del 2012, tiene conto dell’azione di ostacolo all’attività di accertamento, rappresentata dall’omissione dichiarativa da parte del contribuente: azione di intralcio che si è ritenuto dovesse necessariamente essere sanzionata.

Va evidenziato come, in merito a tale ultimo orientamento sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, la giurisprudenza di legittimità non sia uniformemente concorde, come indicato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare in commento.

Al contrario, si è sviluppato un’interessante “filone”4, nel cui ambito “spicca” l’ordinanza n. 5318 del 03 aprile 2012, secondo cui “…la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta, ex artt. 36 bis del d.p.r. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.p.r. n.633 del 1972 è ammissibile, e può evitare l’attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo. Con tali modalità non possono, invece, risolversi questioni giuridiche o esaminarsi atti diversi dalla dichiarazione stessa (senza previamente contestare al contribuente il relativo accertamento con il prescritto avviso)”. La sentenza in commento prosegue poi, entrando nello specifico della fattispecie in esame, affermando che “Nella specie, la negazione della detrazione nell’anno di verifica di un credito dell’anno precedente, per il quale la detrazione era stata omessa, non può essere ricondotta al mero controllo cartolare, in quanto implica verifiche e valutazioni giuridiche, dovendo ritenersi che il disconoscimento dei crediti e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta dovevano, pertanto, avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica”.

 

3. Mediazione e conciliazione giudiziale

Un’interessante opportunità di definizione delle controversie che si innescano a partire dalle ipotesi e fattispecie che sono state oggetto del presente contributo, è rappresentata dall’istanza di mediazione. Quest’ultima, come noto, è necessaria laddove gli importi richiesti a titolo di sole imposte5 non superino i 20.000,00 euro, stante il disposto di cui all’articolo 17-bis del decreto legislativo n. 546/92.

La Circolare n. 34/E evidenzia la convenienza di ricorrere all’istituto in esame, per il contribuente che si imbatta in contestazioni scaturite dal controllo formale, eseguito ai sensi dell’articolo 54-bis del d.p.r. n. 633/72.

Infatti, secondo la predetta circolare, nell’ipotesi in cui il contribuente, in seno alla procedura di mediazione tributaria, desse atto della legittimità delle sanzioni e degli interessi iscritti a ruolo dall’amministrazione finanziaria, lo stesso potrebbe ottenere in “contropartita” il riconoscimento del credito da lui vantato, conseguendo in tal modo un duplice, consistente beneficio:

a) la riduzione delle sanzioni comminate, in ragione del 40%6 del loro ammontare, in conformità a quanto statuito dall’articolo 48 del decreto legislativo n. 546/92;

b) l’opportunità di “compensare” quanto dovuto a titolo di sanzioni, interessi, ed altri oneri di riscossione, con il credito non dichiarato, ma riconosciuto dall’ufficio come spettante.

 

I medesimi, consistenti, benefici sono riconosciuti al contribuente che ricorra alla conciliazione giudiziale7, in presenza di una controversia il cui valore ecceda l’importo citato in precedenza. In dettaglio, con riguardo alla mitigazione del trattamento sanzionatorio, si fa riferimento a quanto previsto dal 6° comma dell’articolo 48 del decreto legislativo n. 546/92; con riferimento, invece, alla possibilità di compensazione tra le pretese dell’amministrazione e i crediti vantati dal contribuente, l’analogia con quanto descritto in materia di mediazione è affermata dall’Agenzia delle Entrate al paragrafo 3 della stessa Circolare n. 34/E.

 

4. Casi operativi e possibili “spiragli” : possibile evitare il contenzioso?

Preso atto di quanto ha formato oggetto della circolare n. 34/E e degli orientamenti ivi contenuti, va evidenziata una possibile “apertura” da parte della stessa Agenzia delle Entrate. Quest’ultima, infatti, con lettera del 0 agosto 2012 inviata al quotidiano “Il Sole 24 Ore”, ha affermato che per i crediti delle dichiarazioni annuali omesse, il fisco potrebbe “accontentarsi” delle sole sanzioni, con gli uffici che sarebbero disposti al “riconoscimento del credito in tempo reale”, senza cioè che sia necessario innescare la fase contenziosa. Stando a quanto asserito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 54/E del 19 giugno 20028, una volta riconosciuta la spettanza del credito, sarebbe sufficiente assolvere le sole sanzioni, variabili da un minimo di 258,00 euro ad un massimo di 2.065,00 euro, come determinate dall’articolo 5, terzo comma, del decreto legislativo n. 471 del 1997.

Ad oggi, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate non ha ancora reso disponibili i necessari chiarimenti, inerenti la conferma di quanto precede, in riferimento, sia all’entità delle sanzioni, che al loro pagamento. Non sono infatti ancora note le modalità che dovrebbero seguire gli uffici per dare luogo al riconoscimento del credito, né quelle che dovrebbero consentire ai contribuenti di evitare un costoso e sfibrante contenzioso, mediante il versamento delle sanzioni comminate per l’omissione dichiarativa.

In attesa che pervenga qualche “lume” dall’Agenzia circa la lodevole manifestazione d’intenti di cui si è detto, restano non pochi interrogativi per i contribuenti che si imbattano nelle circostanze che hanno costituito oggetto del presente contributo. Si potrebbe tuttavia concludere tentando comunque di fissare alcuni semplici ed estremamente sintetici spunti operativi, desumibili da quanto esaminato:

  • vedendosi raggiunti da un avviso bonario, emesso ai sensi dell’articolo 54-bis del d.p.r. n. 633/72, occorre in prima istanza chiederne l’annullamento, seguendo le istruzioni contenute nella circolare n. 74/E del 2007. Occorre quindi, allegando documentazione comprovante la sostanziale spettanza del credito, chiedere all’ufficio di eseguire i controlli necessari, onde ottenere il riconoscimento del credito stesso.

  • Ove l’ufficio resti inerte, come di solito accade, si potrà ugualmente tentare di “sfruttare” l’istanza prodotta all’ufficio, in sede di impugnazione della conseguente cartella di pagamento.

     

  • Le motivazioni da proporre in contenzioso saranno principalmente:

a) il ricorso alla sostanziale spettanza del credito e all’interpretazione originariamente sostenuta dall’Agenzia con la Circolare n. 74/E;

b) la nullità della pretesa erariale, in quanto azionata da controllo formale, attività di per sé non bastevole alla verifica della fattispecie in esame, come sostenuto da ultimo dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 5318 del 2012.

 

Quanto precede senza dimenticare l’opportunità di proporre istanza di mediazione (se la controversia è di importo tale da consentirlo) o di conciliazione, onde ottenere il riconoscimento del credito e la compensazione di quanto preteso, tra l’altro con un trattamento sanzionatorio fortemente agevolato.

31 maggio 2013

Giuseppe Pagani

1 Norma sostituita dall’articolo 8, comma 3, del d.p.r. n°322 del 1998.

2 Cassazione, sentenza n. 523 del 3 luglio 2001, dep. 18 gennaio 2002 .

3 Risoluzione n. 74/E del 2007 e Circolare n. 222/E del 2000.

4 Nello stesso senso, si veda anche Cassazione, sentenze n. 12762 del 29 maggio 2006 e n.14070 del 27 giugno 2011.

5 Nella fattispecie in esame, occorre valutare in sostanza l’importo del credito ripreso a tassazione; le sanzioni vanno prese in considerazione qualora le stesse costituiscano l’esclusivo oggetto di contestazione.

6 Il 40% della sanzione prevista dall’art.5, decreto legislativo n. 471/’97 (pari al 30%) ammonterebbe al 12% dell’ammontare del credito non dichiarato ed oggetto di riporto.

7 Va ricordato che la proposta di conciliazione giudiziale non può essere proposta dopo che sia intervenuta la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, stante il disposto di cui al 2° comma dell’articolo 48, decreto legislativo n. 546/92.

8 Si veda, in particolare, il punto 17.1 “Dichiarazione tardiva ovvero omessa”.