Il "nuovo" lavoro intermittente dopo le novità apportate dalla Riforma Fornero

un riassunto delle norme che disciplinano il contratto di lavoro cd. “intermittente” dopo le novità apportate dalla Riforma Fornero: obblighi di comunicazione; modalità e decorrenza della comunicazione; inquadramento giuridico; ambito di applicazione; regime transitorio e Attività di vigilanza

  1. Introduzione

La legge n. 92/2012, meglio conosciuta con il nome di “Riforma Fornero”, si propone di promuovere la crescita quantitativa e qualitativa dell’occupazione, ma ad oggi sono ancora molte le incertezze e i dubbi sulle modalità di attuazione degli istituti riformati.

Quanto detto è dimostrato dal fatto che già con il decreto sviluppo (L. n.134/12), approvato in via definitiva il 3 agosto u.s. sono state apportate alcune importanti modifiche.

In ogni caso meglio andare con ordine. Il 27 giungo 2012 viene licenziata, in via definitiva, dalla Camera dei Deputi la legge 92/2012; con la promessa da parte del Governo di impegnarsi ad apporvi tempestivamente delle modifiche in particolare sulla questione dei c.d. esodati, su alcuni aspetti della flessibilità in entrata e sugli ammortizzatori sociali.

Trascorsi i canonici 15 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 153 del 03 luglio 2012 suppl. ord. 136) il 18 luglio 2012 la riforma Fornero è a tutti gli effetti legge dello Stato.

L’amministrazione statale data l’importanza delle novità introdotte ha provveduto nel giro di pochi giorni ad emanare diverse circolari in materia. La circolare n. 18 del 18 luglio 2012 si è occupata di dare le prime istruzioni operative, sui diversi istituti modificati, per permettere alla riforma di entrare pienamente in vigore. La seconda circolare, la n. 20 del 01 agosto 2012, del tutto dedicata al lavoro intermittente è stata la prima di una serie di circolari che saranno pubblicate singolarmente per ogni istituto riformato. La nota ministeriale n. 11779 del 09 agosto 2012; il successivo avviso di rettifica del 13 agosto 2012 ed infine la nota ministeriale n. 12278 del 14 settembre 2012 tutte riguardanti uno degli aspetti più controversi: l’obbligo di comunicazione per l’utilizzo del lavoro intermittente.

Uno degli obbiettivi della riforma è certamente un ridimensionamento nell’utilizzo del contratto di lavoro intermittente o a chiamata; infatti, la norma interviene imponendo da un lato una comunicazione di chiamata in funzione antielusiva e dall’altro restringendo le ipotesi di stipula e rendendo inefficaci, decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della norma, i contratti già stipulati.

 

2. Obblighi di comunicazione

Art. 1 c. 21 lett. b legge 92/2012: “All’articolo 35 (ndr D.Lgs. 276/2003) è aggiunto il seguente comma: <3-bis. Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di natura non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare la durata con modalità semplificate alla Direzione territoriale del Lavoro competente per territorio, mediante sms, fax o posta elettronica.”

 

Il nuovo obbligo di comunicazione, imposto per evitare gli abusi nell’utilizzo del lavoro intermittente, è sicuramente la novità che ha avuto maggior impatto; con un ulteriore aggravio negli adempimenti dei datori di lavoro. Infatti, già a partire dal 18 luglio 2012, chi intende utilizzare lavoratori a chiamata ha l’obbligo di comunicare alla DTL di competenza per territorio l’inizio della prestazione lavorativa. Informazione che va ad aggiungersi alla comunicazione preventiva di assunzione e che andrà effettuata anche in coincidenza della data di inizio del rapporto di lavoro.

La sanzione prevista, in caso di omessa comunicazione preventiva di utilizzazione, va da un minimo edittale di € 400,00 ad un massimo di € 2.400,00, per la quale non si applica l’istituto della diffida, per cui l’importo estinguibile in maniera ridotta è pari ad € 800,00 (art. 14 co. 7 L. 689/91).

Con una prima circolare, la n. 18 del 18 luglio 2012, l’amministrazione statale aveva individuato le modalità immediatamente operative per effettuare tali comunicazioni presso la direzione territoriale competente attraverso fax e posta elettronica. La circolare chiedeva di indicare “senza particolari formalità” i dati del lavoratore, dei lavoratori, il giorno o i giorni in cui lo stesso fosse occupato nell’ambito di un periodo non superiore a trenta giorni dalla comunicazione, senza necessità di indicare l’orario di lavoro. Secondo, questa prima circolare, la comunicazione poteva essere modificata o annullata ma, in ogni caso, prima dell’inizio della prestazione lavorativa. Questa ulteriore interpretazione restrittiva era sembrata sin da subito un ulteriore aggravio per i datori di lavoro.

Il Ministero è, quindi, di nuovo intervenuto per meglio disciplinare le ipotesi in cui, effettuata la preventiva comunicazione, poi di fatto l’attività lavorativa non è svolta. In sostanza, ha chiarito che, se l’annullamento avviene per causa imputabile al datore di lavoro la revoca della chiamata deve essere effettuata sempre prima dell’inizio dell’attività lavorativa; al contrario nel caso in cui il lavoratore non si presenti a lavoro, la comunicazione potrà essere inviata “entro le 48 ore successive al giorno in cui la prestazione doveva essere resa” (Circolare n. 20 del 01 agosto 2012). In caso contrario la prestazione si considera effettuata per i giorni indicati con le “relative conseguenze di natura retributiva e contributiva”, ai fini contributivi va denunciato il minimale di retribuzione giornaliera stabilita dall’INPS.

Con riferimento al concetto di “ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni” il Dicastero ha poi fornito nella stessa circolare, una lettura più favorevole della norma ritenendo che possono essere effettuate “comunicazioni che prendano in considerazione archi temporali più ampi purché, all’interno di essi, i periodi di prestazione non superino i 30 giorni per ciascun lavoratore”.

Tutto questo nell’attesa del decreto ministeriale a cui sia la legge sia le circolari fanno riferimento; tale decreto dovrebbe indicare in modo chiaro e definivo le modalità di trasmissione.

 

3. Modalità e Decorrenza della Comunicazione

Nell’attesa del Decreto ministeriale, con nota n. 11779 del 09 agosto 2012, il Ministero ha annunciato le modalità di comunicazione stravolgendo in parte il valore delle precedenti circolari in materia.

La nota quindi introduce le seguenti modalità:

  1. FAX al numero 848800131 attraverso apposito modello disponibile sul sito del ministero debitamente compilato. Tale modalità può essere utilizzata per la chiamata di un singolo lavoratore. Nel modello predisposto oltre, ovviamente, al codice fiscale del datore di lavoro, al suo indirizzo mail, e, al codice fiscale del lavoratore occorre indicare il codice della comunicazione obbligatoria UNILAV del lavoratore oggetto di chiamata, rilasciato dalla procedura all’atto dell’assunzione secondo le disposizioni del D.M. 30 ottobre 2007. Nel caso in cui il rapporto di lavoro sia antecedente al 1° marzo 2008 il codice sarà omesso. Attivo dal 13 agosto 2012.

  2. SMS al numero 3399942256: questa modalità che doveva essere la più rapida, ma che al tempo stesso aveva creato diverse preoccupazioni sulla possibilità di avere una ricevuta, si rivela essere al quanto complessa. I dati da indicare sono: – indirizzo mail del datore di lavoro; – codice comunicazione CO; – codice fiscale datore di lavoro; -codice fiscale lavoratore; – data inizio e fine della prestazione. I dati dovranno essere digitati senza spazi e senza ulteriori caratteri, sottolinea la nota, i campi vanno separati sempre da una virgola ad eccezione del campo codice fiscale datore di lavoro o codice comunicazione, che va separato da un punto; il formato della data è “gg-mm-aaaa”; le date durante le quali si effettua la chiamata periodicamente vanno separate da un asterisco. Tale modalità operativa è attiva dal 17 agosto 2012

  3. Mail all’indirizzo intermittenti@lavoro.gov.it:sempre attraverso la compilazione dell’apposito modello predisposto nel sito ministeriale compilato in ogni sua parte. Con tale modalità sarà possibile comunicare fino ad un massimo di sei lavoratori per il medesimo periodo di chiamata ovvero, per un lavoratore, fino ad un massimo di dieci periodi. Anche in questo caso l’operatività di detta comunicazione ha decorrenza 17 agosto 2012.

  4. Modulo on line: sarà resa disponibile un’ulteriore modalità di comunicazione che prevede la compilazione sul portale www.cliclavoro.gov.it e che rilascerà apposita ricevuta per ogni comunicazione inoltrata. Tale modalità doveva essere operativa dal 1° ottobre 2012.

La nota, quindi, stabilisce una distinta data di avvio per ognuna delle singole forme di comunicazione scandagliando nel tempo la loro attuazione a partire dal 13 agosto per arrivare al 1° ottobre.

Il Ministero, dopo le copiose proteste da parte degli operatori, con nota di rettifica del 13 agosto stesso ha stabilito un primo periodo transitorio durante il quale le comunicazioni potranno essere ancora trasmesse secondo le precedenti modalità fino alla data del 15 settembre. Ma ecco che, in data 14 settembre, una nuova nota ministeriale, la n. 12728, ha prorogato tale periodo fino alla completa definizione da parte del Ministero delle nuove modalità di invio della comunicazione.

Ad oggi, quindi, e fino a quando una nuova comunicazione, che dovrebbe avere i crismi del decreto ministeriale, non dirà il contrario, convivono le diverse forme di comunicazione sopra elencate e la primissima forma stabilita dalla circolare n. 18/2012 quindi fax o posta elettronica presso i recapiti istituzionali delle Direzioni Territoriali del Lavoro di competenza per territorio.

Sempre con la nota del 14 settembre il Ministero ha, inoltre, risposto alla domanda su quali fossero le modalità di rettifica della prescritta comunicazione chiarendo che “ai fini della revoca di comunicazioni già effettuate, è sufficiente una successiva comunicazione in tal senso che indichi il lavoratore interessato”.

La circolare n. 20/2012 per quanto riguarda l’attività di vigilanza, sulla nuova comunicazione, ha ribadito agli ispettori la necessità di valutare con estrema attenzione il corretto adempimento di tale obbligo che, nelle more della implementazione delle modalità di comunicazione, una vigilanza su questo aspetto si può ritenere opportuna solo nelle ipotesi in cui sia presumibile un utilizzo improprio dell’istituto.

Quindi, atteso che, l’obbligo sussiste sarà compito degli ispettori valutare caso per caso l’eventuale inadempienza e la conseguente applicazione della sanzione con tutti i limiti del caso.

 

4.Inquadramento giuridico

Il Dicastero approfitta della riforma del lavoro per dare, per la prima volta, una lettura autentica all’inquadramento giuridico del “lavoro a chiamata”. La circolare n. 20 del 01 agosto 2012 chiarisce che indipendentemente dal fatto che il contratto sia a tempo determinato o indeterminato, la prestazione deve essere caratterizzata dalla “discontinuità e dalla intermittenza”.

In sostanza, la prestazione può essere considerata discontinua anche per periodi di durata significativa, ma dovranno essere intervallati da una o più interruzioni, in modo tale che non ci sia una coincidenza esatta tra la durata del contratto e la durata della prestazione. Questo tipo di lettura del lavoro intermittente non era stata fino ad oggi data, infatti non esisteva alcuna disposizione che indicasse “l’obbligatorietà” di interruzione della prestazione.

Tale precisazione è certamente dovuta dalla necessità di tutelare il lavoratore dall’intento di eludere le garanzie tipiche del lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato da parte dei datori di lavoro. Ma anche rispetto al tempo determinato, si pensi al fatto che al lavoro intermittente non si applicano le norme di cui al D.lgs n. 368/2001.

 

5.Ambito di applicazione

Art. 1 c. 21 legge 92/2012: “Al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 34: 1) al comma 1, le parole: “ai sensi dell’art. 37 “ sono soppresse; 2) il comma 2 è sostituito dal seguente: “2. il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età”

c)l’articolo 37 è abrogato.

 

L’articolo 34 c. 2 D.Lgs. 276/03 come novellato dalla legge 92/2012 modifica l’ambito soggettivo di applicazione del contratto di lavoro intermittente. Si stabilisce, infatti, che il contratto potrà essere stipulato da soggetti con più di cinquantacinque anni di età, elevando il limite in precedenza previsto a 45 anni, e da soggetti fino a 24 anni di età, abbassando il limite di un anno.

Nell’ottica di ridimensionamento del contratto intermittente il nuovo articolo 34 co. 2 D.Lgs 276/03 ha stabilito che le prestazioni potranno essere rese entro e non oltre il venticinquesimo anno di età e quindi entro i 25 anni e 364 giorni. La normativa previgente, al contrario, non imponeva limiti temporali alla validità del contratto purché il requisito soggettivo fosse presente al momento della stipula del contratto.

La novella normativa salva le ipotesi già previste dall’art. 34 co. 1 D.Lgs 276/03, dove prevede la possibilità di ricorrere a tale forma contrattuale “secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano azionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”. A fronte della abrogazione dell’art. 37 del D.lgs. 276/2003, la circolare ha chiarito che è rimessa alla contrattazione collettiva l’individuazione sia delle esigenze, che dei periodi predeterminati che giustificano il ricorso all’istituto, specificando che le parti sociali potranno pertanto reintrodurre una disposizione del tutto analoga a quanto già previsto dall’art. 37, D.lgs. 276/2003, abrogato dalla stessa legge di Riforma, non risultano dunque chiare le motivazioni che hanno spinto ad una tale decisione.

Continua a trovare applicazione il meccanismo previsto dall’art. 40 del D.Lgs. 276/2003, laddove la contrattazione collettiva non sia intervenuta a predeterminare i periodi di lavoro, che consente lo svolgimento del lavoro intermittente nei confronti dei soggetti individuati dal D.M. 23 ottobre 2004 che si riferisce alla R.D. n. 2657/1923, che nonostante abrogato, a seguito del c.d. provvedimento taglia leggi, trova la ragione della sua ultrattività nella particolarità della materia trattata.

L’abrogazione dell’art.37 del D.Lgs. 276/2003 comporta l’abolizione anche dell’indennità di disponibilità da corrispondere al prestatore in caso di effettiva chiamata. La circolare n. 20 ha chiarito che “l’indennità di disponibilità, se pattuita, dovrà essere corrisposta anche nei c.d. periodi predeterminati rispetto ai quali è possibile la chiamata di lavoratori che abbiano stipulato il contratto prima dell’entrata in vigore della Riforma”.

 

6.Regime transitorio e Attività di vigilanza

Art. 1 c. 22 legge 92/2012: “ I contratti di lavoro intermittente già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge, che non siano compatibili con le disposizioni di cui al comma 21, cessano di produrre effetti decorsi dodici mesi dalla entrata in vigore della presente legge”

 

Il comma 22 dell’art. 1 L.92/2012 ha individuato una clausola di salvaguardia per i contratti già sottoscritti alla data di entrata in vigore della legge ed incompatibili con le nuove disposizioni stabilendo la validità fino al 18 luglio 2013 compreso alla data del quale si riterranno cessati ex lege. Viene in ogni caso ribadito nella circolare come alla data del 18 luglio 2012 è possibile stipulare contratti di lavoro intermittente solo nel rispetto delle nuove condizioni previste dal novellato art. 34, co. 1 e 2 D.Lgs. 276/03.

La circolare n. 18 afferma esplicitamente che decorso il periodo transitorio il contratto stipulato in violazione delle norme di legge cesserà di produrre effetti ma soprattutto sottolinea che la “la prestazione resa in violazione del divieto sarà considerata in nero”.

Si tratterebbe quindi di un contratto nullo per contrarietà a norma imperativa ma pur sempre salvaguardato dalla norma generale dell’art. 2126 cc “La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa”.

Ma sorge il dubbio sulla possibile applicazione della maxisanzione per lavoro nero stante quanto chiarito con la circolare ministeriale n. 38/2010 che prevede la non applicazione della sanzione quando dagli adempimenti di carattere contributivo assolti si evinca la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione.

La circolare n. 20/2012 ha ribadito che nel caso di violazione delle condizioni legittimanti la stipulazione del contratto o dei divieti previsti all’articolo 34, comma 3 del D.lgs. 276/2003, i rapporti di lavoro saranno considerati a tempo pieno ed indeterminato. Forse, la riqualificazione del contratto dovrebbe essere considerata la via maestra che permettere di salvaguardare il rapporto di lavoro soprattutto quando le prestazioni siano state regolarmente denunciate ai fini previdenziali.

 

9 novembre 2012

Mario Agostinelli e Elisabetta Marziali