Incentivo alla patrimonializzazione delle imprese: Aiuto alla Crescita Economica (A.C.E.)

analisi (con utili esempi) della principale misura di agevolazione alle imprese inserita nella Finanziaria del Governo Monti

L’art. 1 del D.L. 6.12.2011, n. 201 (decreto “Salva Italia, ha introdotto, come noto, l’incentivo fiscale denominato “Aiuto alla Crescita Economica” (ACE), che prevede la detassazione dei redditi utilizzati per la patrimonializzazione delle imprese. Come si legge nello stesso co. 1 dell’art. 1, gli obiettivi della norma partono dalla “esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio, nonchè per ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi, la struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano”. L’agevolazione in questione, come si vedrà meglio nel seguito, prende diversi spunti dalla “vecchia” Dual Income Tax (DIT), nonché dalla detassazione per gli aumenti di capitale, prevista dall’art. 5, co. 3-ter, del D.L. 78/2009. Tuttavia, da una prima lettura, sembra potersi affermare che l’agevolazione prevista dall’art. 1 del D.L. 201/2011 risulta più efficace rispetto alle precedenti, in quanto mentre la DIT prevedeva l’applicazione di un’aliquota agevolata, l’ACE consiste nella possibilità di portare in deduzione dal reddito complessivo netto dichiarato un importo corrispondente al rendimento nozionale riferibile ai nuovi apporti di capitale di rischio, nonché agli utili reinvestiti in riserve di capitale. E’ bene evidenziare che nell’iter di conversione in legge sono state apportate alcune modifiche alla norma, soprattutto per quanto riguarda il patrimonio netto iniziale per il calcolo dell’agevolazione, correggendo alcune imperfezioni previste dal decreto originario.

Soggetti interessati
Secondo quanto stabilito dai co. 1 e 7 dell’art. 1 del D.L. 201/2011, l’agevolazione in esame si applica a tutti soggetti che producono reddito d’impresa, sia in forma individuale, sia in forma collettiva. Tuttavia, la disposizione normativa prevede:
per le società di capitali di cui all’art. 73, co. 1, lett. a), del TUIR (società per azioni, in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative, società di mutua assicurazione, società europee di cui al regolamento CE n. 2157/2001, e le società cooperative europee di cui al regolamento CE n. 1435/2003, residenti nel territorio dello Stato), e per gli enti di cui alla successiva lett. b) (enti pubblici e privati, diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali), un’applicazione dell’agevolazione in base alle disposizioni contenute nella disposizione in commento;
per le persone fisiche, le società in nome collettivo ed in accomandita semplice, in contabilità ordinaria, l’applicazione del beneficio deve avvenire con le modalità stabilite con decreto ministeriale, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (e quindi entro il prossimo 5 gennaio 2012), in modo da garantire un beneficio conforme a quello spettante alle società ed enti soggetti passivi Ires.
Il co. 1 dell’art. 1, estende il beneficio anche alle società ed agli enti commerciali non residenti nel territorio dello Stato, di cui all’art. 73, co. 1, lett. d), del TUIR, relativamente alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di tali soggetti non residenti.

Soggetti esclusi
Restano quindi esclusi dal beneficio in esame i seguenti soggetti:
enti pubblici e privati, diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 73, co. 1, lett. c), del TUIR);
imprese individuali e società di persone in regime di contabilità semplificata;
esercenti attività di lavoro autonomo.
L’esclusione dei soggetti in contabilità semplificata, si intuisce, è motivata dalla considerazione che tali soggetti, per il regime contabile adottato, non presentano il patrimonio netto, con conseguente impossibilità di calcolo dell’agevolazione in esame.

Funzionamento dell’agevolazione
Premettendo che l’agevolazione si rende già applicabile per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011, con conseguente possibile fruizione già in sede di versamento del saldo Ires/Irpef nel modello Unico 2012 (non è previsto che il beneficio riguardi anche l’Irap), il meccanismo di conteggio è abbastanza semplice. In particolare, ai fini della determinazione del reddito netto complessivo, si prevede la possibilità di deduzione dal reddito stesso di un importo pari al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio. Tale rendimento nozionale, si precisa, è determinato applicando l’aliquota del 3% per il primo triennio di applicazione (per i successivi periodi, sarà un apposito decreto a stabilire la percentuale), alla variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio precedente.

Esempio
La società Alfa s.r.l. presenta i seguenti dati:
capitale proprio al 31 dicembre 2010: euro 1.000.000;
incremento capitale proprio eseguito in data 1.1.2011 per euro 1.000.000, mediante versamento soci in conto capitale;
capitale proprio al 31 dicembre 2011: euro 2.000.000.
Considerando che l’agevolazione è pari al 3% dell’incremento di capitale proprio realizzato nel 2011, pari a euro 1.000.000, l’agevolazione fruibile nel modello Unico 2012, quale variazione in diminuzione, è pari al 3% di 1.000.000, ossia 30.000, con conseguente risparmio fiscale pari a euro 8.250 (30.000 x 27,5%).

Incrementi e decrementi di capitale
L’agevolazione, come illustrata in precedenza, si rende applicabile alla variazione in aumento del capitale proprio avvenuta durante l’esercizio, precisando sin d’ora che tale variazione è quella “netta”, pari alla differenza positiva tra incrementi e decrementi.

Variazioni in aumento
Secondo quanto stabilito nel co. 5 dell’art. 1 del D.L. 201/2011, rilevano come variazioni in aumento:
in conferimenti in denaro;
gli utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinate a riserve non disponibili.
Relativamente ai conferimenti, la disposizione normativa fa espresso riferimento solamente a quelli eseguiti in denaro, con conseguente esclusione dei conferimenti in natura (aventi ad oggetto beni o aziende, ad esempio), nonché dei versamenti avvenuti a diverso titolo, quali i finanziamenti soci (fruttiferi e infruttiferi). Relativamente agli utili accantonati a riserva, la norma esclude dall’agevolazione quelli destinate a riserve non disponibili, per le quali dovrà essere chiarito se tale vincolo debba intendersi in relazione a quanto previsto dai principi contabili, ovvero se si debbano escludere dall’agevolazione solamente quelli accantonati a riserve non disponibili da parte delle società cooperative, in funzione dei vincoli mutualistici. Sul punto, in attesa degli opportuni chiarimenti, si segnala che dal punto di vista civilistico le riserve non disponibili costituiscono fattispecie eccezionali, come ad esempio la riserva per acquisto di azioni proprie prevista per le società per azioni.

Variazioni in diminuzione
Secondo quanto stabilito dallo stesso art. 1

, co. 5, del D.L. 201/2011, rilevano come variazioni in diminuzione:
le riduzioni di patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti;
gli acquisti di partecipazioni in società controllate;
gli acquisti di aziende o di rami di aziende.
In relazione alla prima fattispecie, la disposizione si riferisce genericamente a tutte le riduzioni di patrimonio netto per distribuzione ai soci, con la conseguenza che rilevano in diminuzione sia la distribuzione di riserve di utili, che generano dividendi in capo al percettore, sia la distribuzione di riserve di capitale (versamenti soci) o del capitale sociale stesso. Per quanto riguarda, invece le altre due fattispecie, l’intento è di evitare duplicazioni di agevolazione, che si potrebbero realizzare, ad esempio, tra società appartenenti allo stesso gruppo tramite l’acquisto di partecipazioni.
La norma in questione non contiene alcuna indicazione in relazione alle perdite di esercizio, le quali non dovrebbero quindi costituire una fattispecie di variazione in diminuzione, anche se sul punto di auspica un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, così come l’utilizzo di riserve a copertura delle predette perdite. Infatti, l’incentivo in questione sembra riguardare esclusivamente i flussi finanziari, ovverossia versamenti in denaro in “entrata” e decrementi in denaro in “uscita” per effetto di distribuzioni di riserve.

Pro rata temporis
Come già anticipato, l’agevolazione ACE è applicabile già a partire dall’esercizio 2011 (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare), anche in relazione ad incrementi effettuati prima del 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del decreto. Tuttavia, come già accadeva per la DIT, per gli incrementi patrimoniali si deve applicare il criterio pro rata temporis, con la conseguenza che gli stessi devono essere ragguagliati in funzione della data in cui avviene il versamento. Ad esempio, un versamento effettuato in data 1 luglio 2011, rileverà nella misura del 50% ai fini dell’agevolazione, così come un versamento eseguito in data 1 ottobre 2011 rileverà per il 25% del suo importo. Da ciò deriva che la “corsa” ad eventuali incrementi effettuati in questi giorni, e quindi in prossimità con la chiusura dell’esercizio, non hanno particolare convenienza, in quanto rilevano solo in proporzione ai giorni mancanti alla fine dell’anno (fermo restando che tali versamenti rileveranno per intero nel 2012 e negli anni successivi, ipotizzando l’assenza di variazioni in diminuzione).

Individuazione del patrimonio netto
Qualche aspetto critico si poneva, nella versione della norma licenziata dal Governo con l’approvazione del decreto legge, nella determinazione del patrimonio netto al 31 dicembre 2011, quale primo termine di paragone con il corrispondente patrimonio netto al 31 dicembre 2010, al fine di calcolare l’agevolazione eventualmente spettante per il periodo d’imposta 2011. Infatti:
l’art. 1, co. 1, del D.L. 201/2011, disponeva che l’agevolazione riguarda la variazione del capitale proprio “rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010”;
il successivo co. 5, invece, nella determinazione del patrimonio netto al 31 dicembre 2011, precisava che il capitale proprio “esistente alla chiusura dell’esercizio in corso nel primo anno di applicazione della disposizione è costituito dal patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, senza tener conto dell’utile del medesimo esercizio”.
Dalla combinazione delle due disposizioni normative, emergeva che:
il patrimonio netto al 31 dicembre 2010 non era influenzato dall’utile di tale esercizio, in quanto già compreso a tale data nel patrimonio netto, e la successiva destinazione di tale utile non era agevolata in quanto costituisce una mera partita di giro che non modifica l’entità del patrimonio stesso;
il patrimonio netto al 31 dicembre 2011, invece, doveva essere considerato al netto dell’utile d’esercizio, con conseguente penalizzazione, in quanto la destinazione di tale utile non genera alcun beneficio.
Al contrario, la precedente agevolazione DIT, da cui l’art. 1 del D.L. 201/2011 come detto attinge in maniera rilevante, prevedeva proprio il contrario, in quanto:
l’agevolazione era applicabile agli incrementi di capitale rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996;
l’assunzione di patrimonio netto dello stesso esercizio in corso al 30 settembre 1996, e non di quello successivo, al netto dell’utile di esercizio.
Per correggere l’evidenziata “stortura”, in sede di conversione in legge del decreto, è stata apportata una modifica al co. 5 dell’art. 1, prevedendo che il patrimonio netto iniziale, da cui decurtare l’utile di esercizio, è quello relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. Da ciò deriva che l’utile dell’esercizio 2010, se accantonato a riserva (disponibile), costituisce incremento agevolabile per l’anno 2011, in quanto costituisce parte integrante del patrimonio netto al 31 dicembre 2011.

Altri aspetti
In attesa del decreto attuativo, previsto dal co. 8 dell’art. 1 del D.L. n. 201/2011, da emanarsi entro il prossimo 27 gennaio 2012 (trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione), è bene evidenziare il contenuto del co. 4 dell’art. 1, secondo cui “la parte del rendimento nozionale che supera il reddito complessivo netto è computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito dei periodi d’imposta successivi”. Come detto in precedenza, l’agevolazione in esame è fruita tramite una variazione in diminuzione da operare nel quadro RF del modello Unico, per effetto della quale tuttavia la società non può dichiarare una perdita. L’eventuale eccedenza, tuttavia, non è persa, ma può essere riportata nei successivi periodi d’imposta quale variazione in diminuzione. Tale “limite”, che a prima vista potrebbe sembrare una penalizzazione, costituisce un vantaggio per il soggetto che fruisce dell’agevolazione, in quanto l’eventuale perdita che si genererebbe a seguito della varazione in diminuzione è riportabile, dopo le modifiche avvenute ad opera del D.L. n. 98/2011, nei limiti dell’80% del reddito imponibile dei successivi esercizi.

Esempio
La società Beta s.r.l., per l’anno 2011, presenta la seguente situazione:
reddito imponibile senza tener conto dell’agevolazione ACE: 10.000
agevolazione ACE per incrementi patrimoniali 2011: 15.000
Nel modello Unico 2012, la società deve operare come segue:
variazione in diminuzione nel quadro RF per 10.000;
reddito imponibile: zero;
riporto dell’eccedenza di agevolazione ACE non fruita, pari a euro 5.000, al successivo periodo d’imposta 2012.

18 gennaio 2012
Sandro Cerato