Principio di inerenza e presunzione di comportamenti antieconomici | Parte I

Con questo articolo diamo avvio ad un approfondimento sulle possibili contestazioni di comportamenti antieconomici da parte del Fisco nei confronti dei contribuenti, e sul relativo principio di inerenza.

Il principio di inerenza qualitativa e quantitativa

Il principio di inerenza “qualitativa” ai fini delle imposte sui redditi

In dottrina è stato correttamente ritenuto1 che il principio di inerenza non avrebbe una espressa disciplina nel TUIR ma discenderebbe direttamente dal principio costituzionale di capacità contributiva e che la disposizione dell’art. 109, comma 5, si riferirebbe al solo profilo della coesistenza di proventi imponibili ed esenti.

L’inerenza è, quindi, un

“concetto pregiuridico, implicito nella stessa nozione di reddito, che per dirsi tale deve essere calcolato al netto dei costi necessari o utili alla sua produzione”2.

 

La Corte di cassazione3 ha, invece, affermato, con riferimento alla deducibilità degli interessi passivi in sede di determinazione del reddito d’impresa, che il principio dell’inerenza sarebbe sancito dall’art. 109, comma 5, del TUIR, in base al quale le spese e i componenti negativi

“diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.

 

sentenza corte di cassazioneDi recente, peraltro, la stessa Corte4 ha affermato che la disposizione da ultimo richiamata non comporterebbe una generale deducibilità degli interessi passivi, dovendosi sempre dimostrare “un “collegamento” tra reddito imprenditoriale e componente negativo detraibile che non può rivolgersi ad un reddito “ontologicamente” diverso perché estraneo alla stessa attività di impresa”.

Al riguardo si ritiene, però, che la disposizione del detto art. 109, comma 5, del TUIR abbia esclusivamente la finalità di stabilire che, qualora concorrano a formare il reddito ricavi o altri proventi esenti, non sono deducibili i componenti negativi che si riferiscono ad attività o beni da cui derivano i detti ricavi o proventi5.

Il principio di inerenza si fonda, invece, direttamente sul principio costituzionale della capacità contributiva e riguarda sia i componenti negativi che quelli positivi di reddito.

In considerazione dei dubbi interpretativi sopra illustrati e della stessa giurisprudenza non costante della Corte di cassazione appare opportuno che intervenga un chiarimento normativo al riguardo.

 

Il principio di inerenza applicabile ai fini dell’IRAP

principio di inerenza e contestazione di comportamenti antieconomiciNel sistema vigente al 31 dicembre 2007, la base imponibile IRAP è stata determinata, secondo la relazione illustrativa che accompagna la legge Finanziaria 2008, come una sorta di “copia” di quella dell’IRES. Il nuovo sistema, invece, segna uno “sganciamento” del tributo regionale dall’imposta sul reddito.

Ciò è stato ottenuto eliminando dall’IRAP le variazioni fiscali e modificando la relativa base imponibile per avvicinarla maggiormente ai criteri adottati nella contabilità nazionale per il calcolo del valore della produzione e del valore aggiunto nei vari settori economici.

Tale opera di “sganciamento” dell’ IRAP dall’IRES avrebbe dovuto, sempre secondo la detta relazione illustrativa, oltre che semplificare le procedure di autoliquidazione e di accertamento del tributo, avere l’effetto di eliminare dai bilanci la rilevazione delle imposte differite IRAP.

Tuttavia, il riferimento al bilancio e ai principi contabili non avrà probabilmente come conseguenza l’eliminazione del contenzioso tra l’Amministrazione finanziaria e contribuenti, ma uno spostamento delle problematiche interpretative dalle norme fiscale a quelle attinenti la redazione del bilancio.

Per quanto attiene alle imposte anticipate è da ritenere che le stesse si ridurranno in entità, ma è molto dubbio che possano effettivamente essere eliminate con riferimento all’IRAP.

Tale riforma ha privato la disciplina dell’IRAP di alcuni principi fondamentali che regolano il reddito d’impresa, quale quello dell’inerenza.

Ci si è, quindi, chiesto se tale principio potesse comunque considerarsi “immanente” nella detta disciplina, analogamente a quanto ritenuto dalla migliore dottrina per quella del reddito d’impresa.

Nel D. Lgs. n. 446 del 1997 è soltanto inserita, nell’art. 5, comma 4, la previsione secondo la quale concorrono alla formazione della base imponibile i componenti positivi e negativi classificabili in voci del conto economico escluse dall’IRAP, se correlati a componenti rilevanti della base imponibile di periodi d’imposta precedenti o successivi.

Accanto a tale principio vi è, poi, quello della cosiddetta “correlazione inversa”, non più disciplinato normativamente ma ancora accolto dalle stesse istruzioni ai modelli di dichiarazione, secondo cui non vanno tassate (o dedotte) le insussistenze e le sopravvenienze attive (o passive) relative a componenti del conto economico di precedenti esercizi non rilevanti ai fini della base imponibile IRAP.

Si tratta, però, di una forma di “collegamento” tra le voci del conto economico che devono rilevare ai fini dell’IRAP, anche se collocate in diverse aree del bilancio, che non sembra in grado di sostituire il principio dell’inerenza.

Al riguardo l’Assonime6 aveva osservato che il tema era stato affrontato solo marginalmente dall’Agenzia nella circolare n. 27/E del 2009, laddove, a proposito della rilevanza delle spese per il personale deducibili, era stato fatto riferimento alle “spese funzionali all’attività di impresa”.

Una presa di posizione più netta emergeva, invece, dalla presa di posizione dell’Agenzia in tema di deducibilità dell’IVA non detratta per le prestazioni alberghiere e di ristorazione7, secondo la quale la rinuncia alla detrazione dell’IVA sulle spese per prestazioni alberghiere e di ristorazione8 sarebbe ostativa alla deduzione dell’imposta dal reddito,

“atteso che in tale ipotesi l’indetraibilità dell’IVA non deriverebbe da cause oggettive che precludono l’esercizio del relativo diritto bensì da una valutazione discrezionale del contribuente”.

Nella risoluzione n. 84/E del 2009 l’Agenzia aveva esplicitamente esteso tale principio anche alla determinazione dell’imponibile IRAP.

L’Assonime, pur mostrandosi critica rispetto a tale posizione interpretativa, aveva osservato che

“se si accetta questa posizione per la fattispecie in esame, il criterio dell’inerenza diventa rilevante per l’IRAP anche in tutte le altre fattispecie di deduzioni di componenti negativi.

D’altra parte, a quanto ci risulta, orientamenti in favore dell’applicabilità del concetto di inerenza delineato dal TUIR anche ai fini del nuovo regime dell’IRAP sono stati manifestati anche in ambienti vicini all’Amministrazione finanziaria”.

Sempre a parere della detta Associazione, questa posizione interpretativa desterebbe perplessità, in quanto, pur avendo l’Agenzia adottato (come già visto) interpretazioni logico-sistematiche (condivisibili o meno) volte ad integrare il dato normativo delle nuove regole IRAP in quanto carente in alcuni punti, questa posizione in tema di inerenza “appare molto discordante dalle indicazioni delle norme espresse.

L’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 446 fa, infatti, riferimento ai componenti del bilancio che risultano imputati al valore della produzione in base alla corretta applicazione dei principi contabili, e non c’è dubbio che in base a questi principi il concetto di riferibilità dei costi all’esercizio d’impresa – riferibilità che impone in particolare la rilevazione al conto economico dell’esercizio delle componenti della gestione ordinaria – non coincide con quello assunto nell’ambito del TUIR.

Così, ad esempio, nessuno dubita che le sanzioni connesse alle attività di gestione – quali, ad esempio, le sanzioni antitrust – costituiscano una componente di costo ordinaria da rilevare normalmente nella determinazione dei risultati dell’attività caratteristica dell’impresa, mentre, ai fini fiscali, la giurisprudenza e la prassi amministrativa (a torto o a ragione) dubitano che esse possano essere dedotte per difetto d’inerenza.

Analogamente, non c’è dubbio che le liberalità di uso corrente che l’impresa compie nella sua attività vadano rilevate nel conto economico tra i costi di gestione (solo le liberalità a carattere eccezionale sono decise dall’assemblea attraverso la destinazione di utili).

Se si dovesse anche per queste liberalità far riferimento alle norme del TUIR, allora si dovrebbero applicare non solo le disposizioni che distinguono quelle ammesse in deduzione da quelle escluse, ma anche tutte le disposizioni che stabiliscono dei limiti forfetari (quali, ad esempio, quelli previsti per le spese di rappresentanza).

E questo significherebbe sostanzialmente riproporre ai fini dell’IRAP la normativa del TUIR, aderendo dunque ad una impostazione esattamente contraria a quella espressa dal legislatore che ha introdotto il nuovo regime dell’IRAP”.

Continua nella 2a parte dell’approfondimento >>

 

10 maggio 2010

Gianfranco Ferranti

 

NOTE

1 Cfr., al riguardo: R. Lupi, “Redditi illeciti, costi illeciti, inerenza ai ricavi e inerenza all’attività”, in Rassegna Tributaria n. 6/2004, pag. 1935; G. Zizzo, “Il reddito d’impresa”, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, pag. 243; M. Beghin, “Prestiti gratuiti ai soci e disciplina fiscale degli oneri finanziari sopportati dalla società: considerazioni sul concetto di inerenza e sulla regola di deducibilità (pro-rata) degli interessi passivi”, in Riv. Dir. Trib., 1998, II, pag. 153; A. Panizzolo, “Inerenza ed atti erogativi nel sistema delle regole di determinazione del reddito d’impresa”, in Riv. Dir. Trib., 1999, I, pag. 676; C. Attardi, “Reddito d’impresa. Interessi passivi ed inerenza. Note a margine del disegno di legge Finanziaria 2008”, in Il Fisco n. 40/2007, pag. 5828.

2 Così D. Stevanato, “Finanziamenti all’impresa e impieghi “non inerenti”: spunti su interessi passivi e giudizio di inerenza”, in Dialoghi tributari n. 6/2008, pag. 19.

3 Con le sentenze n. 14702 del 21 novembre 2001 e n. 2114 del 2 febbraio 2005.

4 Nella sentenza n. 7292 dell’11 gennaio 2006.

5 Cfr., in tal senso, G. Ferranti, “Limite alla deduzione degli interessi passivi nella Finanziaria 2008”, in Dialoghi tributari n. 1/2008, pag. 83; D. Deotto, “Il principio di inerenza nella determinazione del reddito d’impresa”; C. Attardi, “Reddito d’impresa. Interessi passivi ed inerenza. Note a margine del disegno di legge Finanziaria 2008”, in Il Fisco n. 40/2007, pag. 5828

6 Nella circolare n. 25 del 12 giugno 2009, paragrafo 2.10.

7 Nella circolare n. 6/E del 3 marzo 2009 e, soprattutto, nella risoluzione n. 84/E del 31 marzo 2009.

8 Perché non è, ad esempio, ritenuta economicamente vantaggiosa rispetto agli oneri amministrativi imposti.

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